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DE SPECTACULIS

CAP. I. --- I cristiani respingono gli spettacoli di cui i pagani si dilettano; né ci possono essere ragioni che li convincano ad assistere a cerimonie così sacrileghe ed empie

CAP. II. --- C'è chi difende gli spettacoli, sostenendo che ciò che viene usato in tali rappresentazioni ci viene dato da Dio e quindi ha un principio di bene: tutte queste argomentazioni sono false

CAP. III. --- Gli spettacoli sono proibiti dalle Sacre Scritture

CAP. IV. --- Già col battesimo, noi Cristiani abbiamo rinunziato agli spettacoli teatrali

CAP. V. --- L'origine degli spettacoli: le loro denominazioni: gli Dei ai quali essi venivano dedicati

CAP. VI. --- O che gli spettacoli siano dedicati agli Dei o agli spiriti dei trapassati, essi vanno considerati come qualcosa di falso e di sacrilego

CAP. VII. --- Anche tutto l'apparato esterno di que-sti giochi, tradisce la loro origine e natura idolatra

CAP. VIII. --- Tutto nel Circo, parla esplicitamente d'idolatria, né valgono tentativi di dimostrazione

CAP. IX. --- Anche nei giochi equestri s'annida un principio idolatra

CAP. X. --- E i giochi scenici non sono forse imbevuti di principi idolatri? Tutto riveste questo carattere: anche l'ossequio prestato ai morti, non è che idolatria

CAP. XI. --- I giochi agonali sono consacrati agli Dei, ma appunto, hanno un carattere prettamente idolatra

CAP. XII. --- Quale l'origine dei gladiatori; dei loro combattimenti colle fiere e come costoro partecipino dei principi idolatri

CAP. XIII. --- Ogni ombra d'idolatria va sfuggita

CAP. XIV. --- Donde venga ricavata la proibizione degli spettacoli fatta da Dio ai cristiani

CAP. XV. --- Lo spirito prova un turbamento e una commozione grande, di fronte alle impurità e alle vergogne cui si assiste negli spettacoli

CAP. XVI. --- Tutto è furore negli spettacoli del Circo: i cristiani ne debbono stare ben lontani

CAP. XVII.. --- I teatri sonò sentine d'impurità e di disonestà

CAP. XVIII.. --- Le tragedie, le commedie hanno in loro qualcosa d'illecito e di empio

CAP. XIX. --- Quali crudeltà sono quelle che si vedono compiute nell'anfiteatro

CAP. XX. --- Si possono fare delle obiezioni in difesa degli spettacoli: ebbene, opponiamo ad esse forza e sicurezza di risposta

CAP. XXI. --- Il bene e il male sono tali per loro natura non possono tali principi assoluti andar soggetti a luoghi e a circostanze

CAP. XXII. --- Gli uomini non seguono un'eguaglianza di criterio nel giudicare: le stesse azioni appaiono loro ora buone, ora malvagie

CAP. XXIII. --- Come dovrà giudicarli Iddio, gli spettacoli, se gli uomini pure hanno per essi parola di riprovazione e di condanna?

CAP. XXIV. --- Col sacramento del battesimo si rinun-zia a qualsiasi genere di spettacoli: chi v'assiste, in certo modo, rinnega il battesimo

CAP. XXV. --- Come è possibile nutrire santità di pensieri, in mezzo all'obbrobrio degli spettacoli?

CAP. XXVI. --- Il teatro è cosa che ha in sé carattere demoniaco

CAP. XXVII. --- Ogni godimento che può esser dato dagli spettacoli, è intimamente unito con qualcosa di empio, di sacrilego, di diabolico

CAP. XXVIII. --- E' nella vita dell'al di là che i Cristianti troveranno le gioie più intinse e più piene

CAP. XXIX. --- Anche i Cristiani possono avere tanti spettacoli di gioia e di grandezza su questa terra!

CAP. XXX. --- Il Giudizio Universale

CAPITOLO I. 

I Cristiani respingono gli spettacoli di cui i pagani si dilettano; né ci possono essere ragioni che li convincano ad assistere a cerimonie così sacrileghe ed empie.

Quale principio saldo ed integro di fede, quale luce di verità, quale assoluta regola di disciplina, fra le altre manifestazioni dovute ormai ad errori e a traviamenti secolari, impediscano a noi di prender parte all'allegria che regna negli spettacoli pubblici, voi, o servi di Dio, dovete ben conoscere; voi, dico, che ognor più v'accostate e vi stringete a Dio, e che conoscete e confessate d'averne avuta esatta nozione avendo partecipato col battesimo ai suoi misteri; perché non vi debba essere alcuno che venga a trovarsi in stato di colpa o per ignoranza o per |26 dissimulazione. L'adescamento del piacere è infatti tanto forte, che riesce a vincere e a trascinare chi è ignorante, nell'occasione di peccare, e insegna a simulare e a fingere a coloro che ne sono esperti. Sull'uno e sull'altro punto della questione, forse il modo di pensare dei pagani potrebbe anche rappresentare un procedimento lusinghiero e persuasivo, e in tale argomento infatti costoro, contro di noi, così ragionano; essi sostengono che a quell'intimo senso religioso che risiede nell'animo nostro e nella nostra coscienza, non può per nulla portar pregiudizio quella specie di soddisfazione che dall'esterno vengono a percepire i nostri occhi ed orecchi e che Iddio non si può sentire minimamente offeso da un certo svago che l'uomo può prendersi, a tempo e a luogo opportuno, quando questi, s'intende, mantenga nella sua integrità e purezza il senso dell'onore e del timore di Dio. Eppure è questo punto che precisamente noi ci accingiamo a dimostrare falso ed errato e come tale opinione non s'accordi affatto a un principio di religione vera e di ossequio profondo verso il verace Iddio. Vi sono alcuni i quali pensano che i Cristiani, sicuri e pronti come sono essi di fronte alla morte, s'addestrino appunto in questa fermezza, col rinunziare a tutte le soddisfazioni che può offrire la vita, perché appunto acquistino quella disposizione di spinto che permette loro più facilmente di disprezzarla, quando siano spezzati tutti i vincoli che possono renderla |27 desiderabile. Per loro la vita appare come vana e superflua; c'è, dico, chi afferma questo, perché vorrebbero arrivare a sostenere che quella linea di condotta nei Cristiani, viene in certo modo determinata da considerazioni e da calcoli umani, piuttosto che suggerita da divino consiglio. Morire nel nome di Dio, doveva esser ben triste e ben doloroso per chi avesse trascorso la sua vita in gioia e in sollazzi; costoro pensano; ma se la cosa fosse anche andata così, però, la risolutezza, la fermezza di fronte alla morte dovrebbero bastare a far riconoscere il valore di un principio di rinunzia così saldo e inflessibile.

CAPITOLO II. 

C'è chi difende gli spettacoli, sostenendo che ciò che viene usato in tali rappresentazioni ci viene dato da Dio e quindi ha un principio di bene: tutte queste argomentazioni sono false.

Ecco il frivolo pretesto che fanno valere una infinità di gente: nessuno vi può essere invero, il quale non debba riconoscere che tutto quanto di cui sia stato artefice Iddio e che sia stato poi posto a servigio dell'uomo, come noi andiamo sostenendo, non possieda in sé il carattere della bontà, come ciò che deriva da Colui che è in sé stesso bontà infinita: fra queste cose vanno pure annoverate quelle che in certo modo rispondono alla preparazione degli spettacoli stessi, ad esempio: |28 sono necessari il cavallo, il leone; si richiedono forze fìsiche valide, e dolcezza e soavità di voce. Quindi ciò che proviene dalla stessa natura ed energia divina, non può apparire a noi come qualcosa di alieno o di contrario ed avverso alla divinità stessa e non si può quindi dare attributo di colpa a ciò che si riconosca non nemico della divinità, perché appunto non è neppure qualcosa di alieno da essa. È evidente quindi che le costruzioni stesse, nella loro magnificenza, sono opera di Dio; e le pietre infatti, e le mura, e le colonne marmoree non ripetono la loro origine da Lui che ce le ha date come mezzi e strumenti di ornamentazione e di bellezza? e non è pur vero che quanto gli uomini compiono si svolge sotto il grande cielo di Dio? Quale abile tessitrice d'argomenti non si scopre l'umana insipienza, specialmente quando teme che le possa venire a mancare, sia pure una parte piccola di quel che possa contribuire alla gioia e ai vantaggi terreni! Ti sarebbe facile trovare un maggior numero di quelli che dalla nostra famiglia si tengono lontani, più perché vedono offuscata la visione del piacere terreno, che per il pericolo della vita. Anche lo stolto non ha in fondo paura della morte, perche sa che è un debito che pur bisogna pagare; ma il piacere, in sé stesso, sia pure piccolo, anche il saggio non lo disprezza, perché, sia per lo stolto che per il sapiente, non v'è altro che infiori la vita, se non il piacere. Nessuno pensa di poter negare tutto questo, perché non c'è |29 alcuno che non conosca quello che la natura pone di per sé stessa dinanzi all'occhio nostro e suggerisce al nostro spirito. Iddio è il creatore di quest'ordine, di questa armonia universale e questo universo in tanto è bontà infinita, in quanto è soggetto in certo modo all'uomo e risponde alla sua diretta utilità. Ma poiché la conoscenza che essi hanno di Dio non è intima ed è in relazione, si può dire, alla sola natura, secondo un ius naturale; e non sanno un rapporto più intimo che chiameremo familiare; visto che la loro nozione di Dio è qualcosa di lontano e non di vicino, ne risulta come qualcosa di inevitabile che essi non abbiano la percezione di come Egli voglia che siano rette e regolate tutte le cose, dopo che le formò, e che non conoscano nello stesso tempo quale potenza nemica in contrasto alla sua, esista per trasmutare e falsare l'indirizzo di quanto era di divina fattura, perché non è possibile che tu intenda il mal volere di quella potenza avversa a Dio, se di questi pure hai una conoscenza così limitata ed imperfetta. Non è il caso dunque di considerar solo questo: da chi, cioè, tutto sia stato preordinato e armonizzato, ma anche da chi questa costruzione mirabile sia stata inquinata e sconvolta; e così apparirà nella sua vera luce a quale scopo il tutto abbia avuto sua origine ed ordine, se sarà chiaro pure quello che non risponde a tale armonica volontà dell'ordinatore dell'universo. Molta è la differenza che corre fra quanto sia corruzione e |30 rovina, da un lato, e armonia e fulgida compattezza da un'altra; come appunto grande divario è quello che passa fra chi crea e chi tutto guasta e distrugge. E, del resto, anche tutti quegli aspetti del male e della perversità che pure i pagani, riconoscendoli appunto come tali, impediscono e condannano, trovano pure il loro elemento primo in quello che è opera di Dio. Prendi, se vuoi, l'omicidio compiuto col ferro e col veleno o con misteriose formule magiche: ma il ferro è cosa che appartiene e che è opera di Dio, come le erbe, e come anche le potenze demoniache. Ma che forse, chi tali cose trasse dal nulla, pensò che dovessero servire poi alla rovina dell'uomo? Eppure Iddio fu con un precetto solo e grandissimo che condannò qualunque forma di violenza; non ucciderai, egli disse. E l'oro e il bronzo e l'argento, l'avorio, il legno e qualunque altra materia della quale ci serviamo per costruire immagini idolatre, chi fu che l'introdusse fra gli uomini se non Iddio stesso, creatore di questo nostro mondo? Ma che forse le creò perché, a scapito della sua stessa potenza, dovessero poi divenire oggetto di adorazione? Ma, al contrario, anzi, al suo cospetto grave colpa è l'adorazione degli idoli. Che cosa non è creazione di Dio, fra quello che pure si può trasformare in qualcosa di offensivo per lui? ma quando diviene motivo e ragione di offesa, non appartiene più a Dio ed è appunto quando viene a tacere questa natura divina della cosa, che essa può |31 rappresentare elemento di offesa. L'uomo stesso, che pure è capace di tutti i delitti e di ogni perversità, non solo è opera di Dio, ma è fatto a sua immagine e somiglianzà; ma pure si è allontanato di gran lunga da quel che fu il suo creatore considerando la vita materiale e spirituale; noi non abbiamo infatti avuto la facoltà dello sguardo, perché con esso venisse alimentato l'ardore dei nostri desideri; non c'è stata data la lingua, perché noi usassimo mala parola; non c'è stato concesso di ascoltare, per prestare orecchio a discorsi perversi; non la gola perché ci abbandonassimo colpevolmente ad essa; non il ventre per l'incontinenza della crapula; non gli organi della vita, perché ce ne servissimo per eccessi colpevoli; non le mani per esercitar violenza; non la facoltà di camminare, perché noi errassimo senza scopo e senza direzione: e non posso pensare che lo spirito sia stato così intimamente racchiuso nel nostro corpo, perché questo rappresentasse quasi la sede di tutte le insidie, di tutti gli inganni, di tutte le iniquità. Se Iddio dunque, che vuole l'assoluta purità e integrità di cuore, biasima e condanna ogni cosa cattiva che gli uomini, nel loro cattivo uso, possano anche semplicemente pensare, non vi può esser dubbio che tutto quello che Egli creò non può esser fatto in servigio di quel che Egli respinge appunto come male; anche se si deve ammettere che questo trovi sua ragione di sviluppo per mezzo di altri elementi che ripetono da Dio la |32 loro origine consistendo appunto l'assoluta ragione di tale pervertimento, nell'uso che noi arbitrariamente facciamo di ciò che Egli ci ha largito per alti e nobili scopi.

Noi pertanto, che col nostro Signore Iddio abbiamo pur anco avuto contezza dell'avversario suo, noi che abbiamo visto chi, del tutto, sia stato il creatore magnifico e chi il sovvertitore terribile, non dobbiamo meravigliarci né avere dubbio alcuno che quella potenza nemica, turbatrice e sovvertitrice, la quale fin dall'inizio riuscì a rovesciare dalla purità e dall'integrità primitiva l'uomo che, in squisita fattura, Iddio aveva creato a sua immagine e somiglianzà e dominatore dell'universo; e che potè così tutta la sostanza di lui confermata a bontà e a perfezione dal suo creatore, alterare e pervertire, si sia volta in tutta la sua natura malvagia contro quanto Iddio stesso aveva creato per l'uomo, per fare apparire così colpevole la creatura al cospetto di Dio; per causa di quegli stessi doni di cui provava rammarico che fossero stati concessi all'uomo e non a lui, e per poter stabilire, proprio su quegli elementi, il suo assoluto dominio.

CAPITOLO III. 

Gli spettacoli sono proibiti dalle Sacre Scritture.

Fermata ormai questa nostra convinzione contro quanto i pagani avrebbero voluto |33 sostenere, ritorniamo a considerare e a meditare sui nostri principî. La fede di alcuni o in un carattere troppo semplice e primitivo o perché soggetta a sottigliezze e a cavilli eccessivi nei riguardi di questa rinunzia agli spettacoli, richiede l'autorità delle Sacre Scritture, ed assume un atteggiamento, direi, d'incertezza e di dubbio, dal momento che ai Servi di Dio non si fa obbligo di simile rinunzia in modo pieno, assoluto ed esplicito. Ed infatti proprio chiaramente come si legge: non ammazzare, non commettere adulterio, non adorare idoli, non frodare, noi non troviamo che venga detto: tu non ti recherai nel Circo, non nel teatro, tu non assisterai alle gare o agli spettacoli. Ma noi sappiamo che ben si attagliano a simili manifestazioni quella prima parola di David : felice l'uomo, egli disse infatti, che non s'è recato nel concilio degli empi, che non s'è indugiato per la strada dei peccatori, che non si fermò nella sede degli scellerati. Per quanto infatti sembri che egli con tali espressioni abbia voluto chiamare giusto colui che non volle avere alcuna ingerenza e non prese parte al concilio dei Giudei, quando questi si consultarono circa la condanna da infliggere a Gesù, tuttavia la Sacra Scrittura nell'ampia comprensione che Essa ha, può abbracciare, seguendo sempre il significato del passo in quistione, altri riferimenti, sempre che il principio della fede si debba sentire da essi difeso e rafforzato: e appunto in questo caso la parola di |34 David non sarebbe aliena dal potersi capire come un'esortazione al divieto degli spettacoli. Egli chiamò concilio di empi, allora, la riunione di pochi Giudei; ebbene, con quanta maggior ragione avrebbe potuto usare tale denominazione per una folla così numerosa di pagani? L'empietà è forse minore nei pagani? sono essi forse meno peccatori, meno nemici di Cristo di quel che allora non fossero i Giudei? Eppoi tutte le espressioni del passo non rispondono e non s'attagliano perfettamente? Agli spettacoli infatti s'assiste anche dalla strada, e vie, appunto si chiamano gli spazi in giro tra le divisioni dei recinti che stabiliscono una divisione fra i posti riservati al popolo. Si chiama poi cathedra in teatro lo spazio nel quale questa folla di popolo sta seduta in giro. Così, usando l'espressione citata, inversamente, si potrebbe chiamare infelice chiunque si sarà recato in un concilio di empi, chiunque si sarà indugiato nella via dei colpevoli, chi si sarà fermato nei seggi dei perversi: comprendiamo così in senso generale, se anche l'espressione Davidica risponda ad una interpretazione limitata e particolare. Quando Iddio ammonisce gli Israeliti nei riguardi di una disciplina integra e pura, od ha per essi parole di rimprovero, si rivolge, s'intende, a tutti : quando minaccia la rovina all'Egitto o all'Etiopia, egli guarda e giudica ogni gente peccatrice e colpevole; Egitto ed Etiopia si chiamerà qualunque popolo che si renda colpevole; si passa così dallo |35 speciale al generale; è lo stesso in altro campo; per quel che riguarda l'origine degli spettacoli, da quando furono essi istituiti, non c'è spettacolo che non venga considerato come una. riunione di gente empia e sacrilega, passando qui dal generale al particolare.

CAPITOLO IV. 

Già col battesimo, noi Cristiani abbiamo rinunziato agli spettacoli teatrali.

Qualcuno potrebbe anche pensare che noi andiamo accattando argomenti sottili e sofistici : non lo voglio: io mi volgerò a quel che rappresenta il principio più saldo, all'autorità più inconcussa della nostra stessa credenza; allorché, entrati nell'acqua purificatrice, noi facciamo professione di fede in Cristo, secondo le parole del nostro rito, noi testimoniamo solennemente d'aver rinnegato colla nostra stessa aperta parola, ogni potenza avversa, ogni falsa e sacrilega manifestazione, ogni altra relazione impura e colpevole con potenze nemiche. E quale altra cosa può esservi, dove la potenza satanica possa campeggiare, come nel campo dell'idolatria, nella magnificenza di cerimonie diverse e molteplici, nella forza di altre influenze nemiche? È questo il campo principale: è dall'idolatria appunto che ogni potenza perversa e volgare può, per così dire, assurgere ad un superiore grado di onore. |36 Se risulterà dunque, che è proprio dall'idolatria che gli spettacoli abbiano la completezza e il loro più pieno svolgimento e carattere, sarà ormai assicurato e riconosciuto che la dichiarazione che noi facciamo nell'atto del Battesimo, riguarda pure gli spettacoli, come quelli che, evidentemente, nell'intimo carattere idolatra che essi posseggono, sono sotto l'azione diretta della potenza diabolica e di quanto ad essa s'unisce per influenze molteplici e per tutte le altre esterne manifestazioni. Noi ricorderemo come gli spettacoli abbiano avuto origine, ad uno ad uno, e da quali principî sorti, siano andati col tempo rafforzandosi e prendendo sviluppo: dipoi vedremo quali denominazioni essi prendano, a chi si riferiscano; le pompe esteriori, magnifiche, di cui vanno ornandosi le false e bugiarde credenze; ne esamineremo i luoghi dove vengono fatti, coloro che vi presiedono, qualsiasi altro carattere essi abbiano e chi se ne possa quasi affermare inventore e sostenitore. Se fra questi elementi vari e molteplici, alcuno ve ne sarà che si possa considerare estraneo all'idolatria, non dovrà esso esser compreso neppure nel nostro atto di abiura.

CAPITOLO V. 

L'origine degli spettacoli: le loro denominazioni: gli Dei ai quali essi venivano dedicati.

Per quel che riguarda l'origine più lontana degli spettacoli e che per la maggior parte dei |37 nostri resta come qualcosa di avvolto nella più fitta tenebra, non abbiamo creduto che si dovesse risalire nella nostra investigazione al di là di quanto possono averci lasciato tanti scrittori del mondo pagano, e che non si avesse a ricercare altre fonti: molti infatti sono coloro che su questo argomento ci hanno tramandato testimonianze e notizie: secondo quelli l'origine dei giochi si deve così ricostruire: Timeo (1) riferisce che i Lidi, movendosi dall'Asia, si siano fermati in Etruria: il loro duce sarebbe stato un Tirreno, che aveva ceduto, dopo qualche contrasto, il diritto di succedere al trono, al fratello. Così in Etruria, fra i diversi riti spettanti alle diverse convinzioni religiose di quelle genti, fissano l'istituzione degli spettacoli con carattere sacro. Pare che i Romani in un secondo momento s'accaparrassero coloro che di tali cerimonie erano esperti; stabilissero il tempo in cui dovessero esser compiute, ne fissassero il nome e che appunto dai Lidi si chiamassero Ludi; per quanto Varrone faccia risalire tale denominazione a ludus: gioco, il che equivale a dire, a lusus scherzo, come appunto chiamavano ludi anche quelli dei Luperci (2), perché scorrazzavano |38 scherzando e saltando qua e là. Tuttavia riporta e ricollega questo che è svago e spasso giovanile a giorni riconosciuti festivi, a luoghi sacri e a riti religiosi. Non importa pertanto indugiarsi per ristabilire l'origine del vocabolo, ma è chiaro che la cosa in sé, trova la sua ragione in un principio idolatra. I giochi venivano compresi sotto la generale denominazione di Liberalia (3) e tale |39 parola richiamava evidentemente qualcosa del culto di Libero: erano essi infatti dapprima celebrati proprio in onore di Libero, dai contadini, perchè facevano risalire a lui l'aver conosciuto la forza e il valore del vino: si ebbero poi quelli detti Consualia: (4) erano in onore, dapprima, di Nettuno che appunto chiamano Conso; ci furono poi gli Equiria, che un Remolo pare dedicasse a Marte; per quanto taluni facciano risalire a un Romolo anche i Consualia, che, pare, dopo, li facesse propri di un dio Conso, quasi divinità del consiglio, alludendo, con tal nome, alla deliberazione presa di procurare ai suoi soldati la maniera di aver donne, mediante il ratto delle fanciulle Sabine. Consiglio buono davvero; giusto per i Romani e lecito, anche agli occhi dello stesso Dio; ma il suo vizio d'origine fa sì che tu, o cristiano, non lo possa approvare, un consiglio di tal genere; esso ripete il suo principio dal male; è appunto dalla impudenza maggiore, |40 dalla violenza, dall'odio che trae sua origine, e chi stabilì tale cosa fu il figlio di Marte, che si macchiò del sangue del fratel suo; ed è stata scoperta un'iscrizione sotterranea nel Circo, proprio alle prime mete, che diceva proprio così: Conso potente nel consiglio, Marte nella guerra, i Lari nel Comizio; i pubblici sacerdoti compiono sacrifici in questo luogo il sette Luglio e il ventuno Agosto, il rito viene ripetuto dal Flamine Quirinale e dalle vergini Vestali. Di poi lo stesso Remolo istituì giochi a Giove Feretrio sul colle Tarpeo, i quali Pisone ci dice che prendessero oltre il nome di Tarpei, anche quello di Capitolini. Dopo costui, Numa Pompilio li istituì in onore di Marte e della dea Robigine, perché anche questa la considerarono avente attributo divino (5). Fu poi la volta di Tulio Ostilio, e via via |41 di Anco Marzio e degli altri. Si legge in Svetonio Tranquillo (6) e in quegli scrittori dai quali appunto egli attinse, quali e quante specie di giochi, esattamente distribuiti essi avessero dedicati alle loro pretese divinità idolatre. Ma mi pare che ormai sia sufficiente quanto si è detto per esser convinti e per provare che essi tengono in loro il vizio di origine che è quello appunto di discendere da un principio d'idolatria.

CAPITOLO VI. 

O che gli spettacoli siano dedicati agli Dei o agli spiriti dei trapassati, essi vanno considerati come qualcosa di falso e di sacrilego.

Come se la testimonianza che ci viene offerta dal mondo antico non fosse sufficiente, si |42 viene ad aggiungere quella della età posteriore: anche dalle denominazioni usate in questo tempo si può comprenderne chiaramente l'origine prima: a quale potenza idolatra, a quale forma di superstizione si collegassero i giochi, tanto dell'una come dell'altra specie, cioè quelli consacrati agli Dei o ai morti.

I Megalensi, gli Apollinari, i Cereali, i Neptunali, i Laziali, i Floreali (7) si celebravano pubblicamente ciascun anno; gli altri, si celebravano in onore di natalizi di re, in giorni che essi consideravano solenni, o in ricorrenza di feste e di pubbliche prosperità, o per qualche lieta circostanza municipale o in servigio di qualche credenza |43 religiosa, e fra questi non mancano neppure i giochi che sono disposti a ricordare la figura di uno scomparso e onorarne la memoria; secondo quanto risponde ad un criterio dell'età antica. Venivano infatti fin dai primi tempi distinte due specie di giochi: i sacri e i funebri, cioè, i primi dedicati alle divinità delle diverse genti, i secondi, ai morti. Ma per noi non v'è differenza per la questione che si riallaccia all'idolatria, sotto qual nome o sotto qual titolo vengano essi compiuti: ammettiamo pure che siano compiuti per l'apoteosi dei defunti; ma essi rispecchiano sempre una credenza a quei principî che abbiamo disconosciuto: li celebrino pure per le loro divinità, ma essi si riattaccheranno sempre anche al culto dei morti: la questione è unica pur sotto due aspetti: l'idolatria è una e la nostra posizione contro di essa è ben netta e decisa e non ammette oscillazioni e incertezze.

CAPITOLO VII. 

Anche tutto l'apparato esterno di questi giochi, tradisce la loro origine e natura idolatra.

L'origine dei giochi tanto dell'una che dell'altra specie, o riguardino cioè o gli Dei o i morti, è dunque unica, comune la loro denominazione, come quelli che derivano da uguali principi, e quindi è necessario che quanto riguarda la loro esterna manifestazione sia uguale; perché, in |44 fondo, essi hanno sempre una base idolatra che dà loro vita e consistenza e a cui si deve far risalire la colpa. I giochi Circensi (8) sembra però che abbiano tutto un apparato più pomposo e più splendido: precede ad essi appunto un corteo magnifico, detto pompa o processione, ed essa dimostra proprio il carattere che essi hanno, con tutta quella serie di simulacri e d'immagini: vi sono carri inoltre, cocchi, lettighe portatili, altri sedili, eppoi, corone, spoglie, e gli abitanti di quella città nella quale trovano loro centro tante potenze malvagie e nemiche, lo sanno bene quante sacre cerimonie e sacrifici si compiano e prima e nel più bel mezzo della processione stessa e dopo; quanti collegi sacerdotali, quante sacre istituzioni, quante pratiche sono con essi collegate! Nelle provincie, dove minori sono i mezzi di cui si può disporre, questi giochi vengono apprestati con minore sfarzo, è innegabile, ma pure, questi ludi Circensi sono dovunque gli stessi e sono diretti proprio a quel fine donde ripetono appunto la loro origine; e traggono da quel principio onde sono originati, la ragione prima della loro corruttela e del loro carattere sacrilego: anche un tenue corso d'acqua o un debole ramo, |45 mantengono il loro principio originario e vive in loro o la corrente originaria che ha dato loro la vita, o il succo primitivo della pianta. O pompeggi nella sua magnificenza, o sia pure modestissimo il suo apparato esterno, qualsiasi manifestazione del Circo offende la maestà del Signore. Non importa che poche immagini siano portate in luce di processione! ne basterà una perché sia idolatria: un solo cocchio è tratto: non importa: sarà quello, il cocchio di Giove. Qualunque principio d'idolatria, si manifesti esso in una forma squallida e sordida, o abbia in sé un certo fulgore di bellezza, sia pur esso modesto, è sempre troppo grande, quando si pensi alla colpa che essa contiene in sé.

CAPITOLO VIII. 

Tutto nel Circo, parla esplicitamente d'idolatria, né valgono tentativi di dimostrazione contraria.

Ci siamo proposti di parlare dei luoghi nei quali gli spettacoli vengono eseguiti: ebbene; così farò: il Circo è dedicato in principal modo al sole; in mezzo infatti vi è un tempietto a quello dedicato e nella parte più alta di esso se ne vede l'immagine: non credettero gli antichi di dover consacrare in ambiente rinchiuso ciò che potevano adorare in piena libertà e festa di luce. Coloro che sostengono che si debba far risalire a |46 Circe (9) il primo spettacolo, affermano che sia stato dedicato appunto al sole, che fu il padre suo e quindi ricollegano a Circe la denominazione di Circo. E certamente questa maga, col nome che essa aveva, favorì e sollevò senza dubbio il risveglio di potenze malefiche demoniache, delle quali era devota ministra. Quanti caratteri d'idolatria non puoi tu riconoscere nell'aspetto stesso del luogo dove gli spettacoli si compiono? Si potrebbe dire che in ogni motivo ornamentale del Circo, puoi riscontrare l'orma di una credenza idolatra: svariati sono gli ornamenti, diversi i tempietti quasi coi singoli attributi divini....

In onore di Castore e di Polluce (10) non mancano le simboliche uova, perché costoro non arrossiscono di vergogna nel credere di avere i Dioscuri, avuto origine da Giove, trasformatesi in cigno: e che essi nascessero da un uovo: là si trovano dei delfini consacrati a Nettuno. D'altro lato si vedono delle grosse colonne che |47 sostengono le statue Sessie, così chiamate dalla dea che presiede alla sementa. Messie da quella che presiede alle messi, Tuteline, perché quasi difendono e proteggono i frutti. Avanti a queste colonne ci sono tre altari, dedicati a tre divinità di grande potenza ed influenza: giudicano che queste siano divinità di Samotracia (11). Un obelisco di straordinaria grandezza è dedicato al Sole, come afferma Ermatele; l'iscrizione di cui è fornito ci dice la sua origine e il suo carattere, e come appunto tale credenza superstiziosa derivi dall'Egitto; ma tutta questa bella accolta di potenze idolatre, come avrebbe fatto ad esistere, senza che ad esse si unisse la Magna Mater? (12) ed ecco che essa colà fa bella mostra |48 appunto; vicino quella specie di stagno detto Euripo. Conso (13) se ne sta nascosto, come dicemmo, sotto terra, presso le mète Murcie; anche queste debbono la loro origine ad un idolo; vogliono che Murcia sia la Dea della stanchezza e dell'esaurimento fisico e a questo appunto dedicarono in quella parte del Circo, un tempietto. O tu, che sei cristiano, quante potenze innominabili abbiano avuto loro dominio nel Circo, rifletti dunque; e una credenza soggetta a tanti spiriti avversi e diabolici non può aver nulla in comune con te. Ma a questo punto sarà il caso di ricondurre il nostro discorso ai luoghi dove tali giochi e spettacoli si celebrano; perché si possa prevenire un'obiezione che da taluno potrebbe anche esser mossa: tu mi puoi infatti osservare: e se io mi recherò al Circo in un momento diverso da quello in cui si celebrano i giochi, basterà questo perché io ne resti contaminato e guasto? non v'è impedimento assoluto di frequentare quei luoghi: non solo nelle |49 adunanze per pubblici spettacoli, ma un servo di Dio, può, senza pericolo alcuno, penetrare negli stessi templi pagani; dal momento che vi può essere una ragione impellente che ve lo spinge, ma chiara, aperta, insospettabile, e che non abbia appunto relazione alcuna con ciò che si strà svolgendo in quel luogo, e coll'intimo carattere del luogo stesso. E del resto, le nostre piazze, il foro, i bagni, qualunque luogo pur modestissimo, le nostre case stesse, non sono mica neppur libere da caratteri e influssi idolatri! Satana e le sue potenze amiche tutto hanno riempito di loro. Ma pure non è vero, che, se noi viviamo nel mondo, ci allontaniamo dalla divina grazia del Signore: questo avverrà soltanto se si attaccherà al nostro spirito qualcosa della corruzione e del male del mondo. Se io penetrerò nel Campidoglio o nel tempio di Serapide (14), deciso a compier sacrificio, o quale adoratore di quelle divinità, sarà allora che io mi allontanerò da ogni principio di grazia divina, come pure se mi si vedrà spettatore nel Circo e nel teatro: |50 i luoghi non ci contaminano di per se stessi, ma bensì per ciò che in essi vien fatto: i luoghi stessi si sentono guasti e pervertiti da ciò che fra le loro mura viene compiuto, ed è proprio questo che abbiamo discusso: una volta contaminati essi, anche noi subiamo la loro malefica influenza. Perciò appunto noi ricordiamo a chi sono dedicati i luoghi di tal genere, perché possa venir dimostrato chiaramente che tutto ciò che in quelli si svolge, riguarda e appartiene proprio a quelle potenze alle quali sono consacrati.

CAPITOLO IX. 

Anche nei giochi equestri s'annida un principio idolatra.

Ora parlerò del modo in cui si vanno svolgendo i giochi Circensi: l'uso dei cavalli era prima un esercizio usato in tutta semplicità, come cosa naturale, ed appunto rome quello che rivestiva un carattere così comune, non aveva in sé neppure la più lontana traccia di colpabilità; ma quando un tale uso entrò nel dominio dei pubblici giochi, da un dono concesso e permesso da Dio, rivestì il carattere di qualcosa in servigio di potenze demoniache: Stesicoro (15) dice che |51 da Mercurio furono i cavalli assegnati a Castore e a Polluce ed a questi appunto si riporta l'uso degli spettacoli equestri: ma c'è anche un Nettuno equestre che è detto dai Greci Ippio e altre simili corse a lui dedicate. Dissero poi che le quadrighe si riportavano al sole e le bighe alla luna e chi ebbe ardimento dì attaccare al cocchio — quattro destrieri e su veloci rote — spinto dalla gloria, correre alla vittoria pare fosse Erittonio (16) figlio di Minerva e di Vulcano, che il capriccio amoroso di una divinità fece nascere sulla terra; mostro diabolico costui, e forse più che serpente, quegli era il diavolo in persona; se poi l'inventore del carro sia stato Trochilo di Argo, di questa sua opera volle fare offerta a Giunone che in Argo aveva culto; e se a Roma fu Romolo, che per primo inventò la quadriga, se pure è vero che s'identifichi con Quirino, anche egli è entrato naturalmente a far parte delle potenze idolatre. Furono questi dunque, che inventarono le quadrighe, ma |52 il carattere idolatra si manifestò poi anche nei colori dei quali furono ornati coloro che le guidavano: da principio furono due colori soli: il bianco e il rosso: il bianco era dedicato, diciamo, all'inverno, per il ricordo del candor della neve; il rosso all'estate, perché richiamava il fulgore del sole; ma la cosa col tempo prese un ulteriore sviluppo, il principio superstizioso portò che ci furono alcuni che il rosso lo dissero il colore di Marte, il bianco lo consacrarono agli Zeffiri; alla Madre Terra dedicarono quel colore fra verde e giallo, e così pure alla primavera, al cielo, al mare, all'autunno fissarono come proprio, l'azzurro. Ma è pur vero che Iddio ha detto la sua parola di condanna ad ogni forma d'idolatria e quindi anche a quella che comprende, che abbraccia elementi naturali che appunto da essa vengono profanati e falsati nella loro semplice e primitiva natura.

CAPITOLO X. 

E i giochi scenici non sono forse imbevuti di principî idolatri? Tutto riveste questo carattere : anche l'ossequio prestato ai morti, non è che idolatria.

Passiamo ora a considerare le rappresentazioni sceniche: (17) l'origine di esse è comune agli |53 altri giochi, uguali i caratteri: la denominazione generale era quella di ludi e abbiamo già visto come l'ordinamento si collegasse in certo modo anche alle manifestazioni equestri. Tutto quello che costituisca elemento esteriore si ritrova poi anche nella preparazione della scena. Ci si parte sempre da templi, altari e da quella vergognosa offerta di incenso e di sangue, fra suoni di tibie e di trombe, alla presenza di quei due che sovrintendono alle cerimonie sacre e ai funerali; l'aruspice dico e l'ordinatore dei funebri riti. Passammo prima dall'origine dei giochi, a considerare, in particolare, i Circensi; ora ci rivolgiamo ai ludi scenici e cominceremo ad esaminare il luogo nel quale vengono compiuti: il teatro è proprio la sede di Venere: andò così che questa specie di pubbliche costruzioni riuscì ad affermarsi: i censori facevano in principio distruggere i teatri che andavano via via sorgendo, cercando in tal modo di provvedere alla moralità dei pubblici costumi, allontanandoli da quelle sorgenti di corruzione, che costituivano un pericolo estremo: così che la loro stessa condotta costituisce per noi testimonianza di alto valore e viene ad accrescere e a corroborare quanto sempre per noi abbiamo pensato in proposito. Pertanto Pompeo il Grande (18), la cui grandezza non cedé che a quella |54 del suo teatro, avendo costruito quello appunto che era la sede d'ogni vergogna e di ogni turpitudine, temendo che una bella volta il suo nome non venisse menomato perché i censori gli movessero giusta e aspra critica, con qualche trasformazione lo fece passare per un tempio dedicato a Venere, e chiamò alla cerimonia di consacrazione, con un editto, il popolo: e così non fu più un teatro, ma un tempio. Nella parte inferiore, ci abbiamo fatto, disse, delle gradinate per gli spettacoli; così un'opera sacrilega, meritevole di condanna, la camuffò sotto il nome di tempio e in tal modo, colla scusa di un principio di culto, riuscì a deludere ogni regola e sorveglianza. A Venere e a Libero fu dedicato molto opportunatamente: due potenze nemiche, strette fra loro da un intimo accordo: l'ubriachezza, e il capriccio e la dissoluzione: il teatro di Venere è quindi giustamente anche la sede di Libero. E infatti chiamavano propriamente Liberali anche altri giochi scenici, oltre che consacrati a Libero, istituiti dallo stesso Libero, e che presso i Greci dicevano Dionisiaci. Nelle manifestazioni sceniche si comprende come Libero e Venere debbano esercitare la loro azione e il loro potere: ciò che appartiene intimamente al teatro, |55 i gesti, i vari movimenti richiesti al nostro corpo dalla danza, si riportano bene al carattere di mollezza di Venere e di Libero facilmente abbandonantisi ad ogni forma di scompostezza, di lascivia e di lussuosità. Quanto poi deriva dalla modulazione della voce, dal ritmo musicale e che, richiede l'uso di strumenti diversi, richiama Apollo, e Minerva e le Muse e Mercurio: sono essi gli inventori e i protettori di queste manifestazioni. Ebbene, o Cristiano, tu non potrai che odiare quelle cose i cui autori non possono che suscitare in te un tale sentimento. Noi vogliamo ormai trattare di quelle istituzioni, e della qualità di coloro che l'hanno fissate, il solo nome dei quali deve essere per noi abominevole. Noi sappiamo bene che i nomi dei morti sono vani, come vane le loro immagini, ma pure non ignoriamo che sotto tali denominazioni, e in quei loro vani aspetti si cacciano e agiscono colla più viva compiacenza di poter mentire la loro reale natura sotto l'aspetto del divino, spiriti avversi e potenze demoniache. E vediamo anche che le azioni teatrali sono dedicate a loro, e da loro ripetono l'essenza e il carattere e che quindi non possono essere libere da un principio d'idolatria, dal momento che sono considerati Dei, coloro che ne sono gli ispiratori. Ed anzi noi dobbiamo tener per fermo che i demoni, nella ricerca fin da principio di quello che avrebbe fatto al loro caso, fra le altre cose inerenti all'idolatria, abbiano appunto favorito |56 l'invenzione degli spettacoli, coi quali potessero allontanare gli uomini dal pensiero del Signore, e aggiogarli invece al proprio carro. Né invero avrebbe potuto esser favorito da altri ciò che sarebbe ridondato poi in loro vantaggio. Nè avrebbero potuto le potenze del male raggiungere questo scopo per mezzo di altri uomini, all'infuori di quelli stessi, nei nomi, nelle immagini e nelle imprese dei quali, esse avevano ormai fissato di fare il loro gioco, facendosi falsamente riconoscere Divinità.

CAPITOLO XI. 

I giochi agonali (19), sono consacrati agli Dei, ma appunto, hanno un carattere prettamente idolatra.

Un ordine deve essere rispettato: continueremo dunque col considerare le gare atletiche. Esse, evidentemente si ricollegano nella loro origine ai ludi precedenti: così anche le gare o certami sono o sacri o si riferiscono al culto dei morti, e si dedicano quindi o alle divinità o ai trapassati. Quindi le loro denominazioni sono o di Olimpici quelli dedicati a Giove e che in Roma si chiamano Capitolini, o Nemei, consacrati ad Èrcole, gli Istmici poi, sono dedicati a Nettuno; tutte |57 le altre gare riguardano il culto dei morti. In che cosa, invero, c'è da farsi meraviglia, se il principio idolatra guasti ed inquini le manifestazioni di queste attività, con splendore di corone, con gerarchle sacerdotali, con ministri ed altri ufficiali di collegi sacri, e se pure vengono contaminate col sangue di povere vittime? Vi è conformità fra il luogo dove combattono gli atleti e il circo o il teatro. Come in questo si nota apparato adatto a gare musicali in onore di Minerva, di Apollo, così altrove vi saranno manifestazioni adatte a Marte; ma in certi elementi di lotta, nell'uso della tromba di guerra, siamo nè più ne meno come nel Circo : siamo anche qui nel tempio di quella potenza idolatra, in onore della quale si svolgono certe feste e certe gare: sono i Castori, gli Èrcoli, i Mercuri che ci hanno tramandato le arti ginniche.

CAPITOLO XII. 

Quale l'origine dei gladiatori; dei loro combattimenti colle fiere e come costoro partecipino dei principî idolatri.

Rimane ormai che noi portiamo la nostra attenzione su quel genere di spettacoli famosissimi, e che riscuote la più vasta simpatia; intendo dire, dei ludi gladiatori (20). Fu denominato si può |58 dire, come una specie di offerta, di dovuto dono, da un certo suo carattere doveroso, dapprima; ed infatti le due parole officium e munus si possono avvicinare fra loro. Con questa specie di spettacoli gli antichi pensavano di compiere una debita cerimonia verso i trapassati: in un momento posteriore lo resero meno crudele e feroce: una volta, quando si credeva davvero che le anime dei defunti potessero venir propiziate col sangue umano, s'acquistavano schiavi di indole cattiva e perversa o si prendevano prigionieri, che venivano senz'altro sacrificati nelle pubbliche esequie. Dopo, sembrò opportuno di nascondere quella crudeltà infame sotto l'ombra del piacere, della soddisfazione: così, quelli che avevano predestinato alla morte, li istruivano a combattere con quelle armi, in cui potevano e come era possibile: bastava che imparassero in qualche modo ad ammazzarsi: poi, stabilito il giorno dei funerali li esponevano a combattere intorno alle tombe: in tal modo, commettendo, o favorendo omicidi, trovavano conforto alla morte: questa è l'origine di questa specie di spettacoli che giunsero a tal punto di favore e di simpatia, quanto aumentarono di crudeltà e di ferocia. Dal momento che il ferro non bastava, perché il pubblico saziasse il suo insano |59 desiderio di strage, s'arrivò a far sbranare dalle fiere i miseri corpi degli uomini; e tutto ciò veniva offerto ai morti; era una specie d'onore che si dava loro nelle esequie, e veniva così ad identificarsi con una manifestazione idolatra, e infatti anche l'idolatria non è altro che una specie di culto, di cerimonia tributata ai defunti: tanto una forma che l'altra si riportava ai morti. Ma le potenze demoniache risiedono proprio negli idoli dei defunti; e considerando poi, sotto ogni punto, il carattere di questi giochi, si osservi che dall'essere una manifestazione tributata ai defunti, passò a significare anche un tributo d'onore per l'investitura di qualche altra carica pubblica, come la questura, o di qualche insigne onore sacerdotale, come i flamini: e essendo dunque il nome della dignità ricoperta legato strettamente ad un principio idolatra, è necessario che tutto quello che viene compiuto in onore di quella carica, rivesta un carattere d'idolatria ed abbia in sé motivi e quegli elementi di impurità e di corruzione di quel principio dal quale ripete la sua origine. E intenderemo così, pure nei riguardi di ciò che presenta l'apprestamento di tali spettacoli: la porpora, le bende, le corone; quello che vi si dice in tali assemblee, gli editti che vi si promulgano, le vivande che si offrono da quanto può essere resto di rito sacrificale, non possono pensarsi avulse da quello che è in relazione coi demoni. E che dirò del luogo dove tali rappresentazioni si compiono? neppure |60 colie imprecazioni più gravi potrebbe esser sufficientemente colpito. L'anfiteatro si è ormai accaparrato denominazioni ben più gravi e numerose, che lo stesso Campidoglio. È il tempio esso di tutte le potenze del male: ce ne sono tante, quanti sono gli uomini che è capace di contenere. Basta saper questo per concludere che cosa sia quanto in esso si va svolgendo: divinità protettrici dell'una e dell'altra specie di giochi sono Marte e Diana.

CAPITOLO XIII. 

Ogni ombra d'idolatria va sfuggita.

Son d'opinione che ormai abbiamo ordinatamente e completamente trattato in quante e in quali maniere gli spettacoli abbiano in loro, principî ed elementi idolatri; basta pensare alla origine loro, ai loro nomi, alla preparazione che richiedono, ai luoghi nei quali si svolgono. Per quel che riguarda i sacrifici non ci può esser nulla affatto che noi possiamo sentire come a noi spettante; tutto quanto si riferisce agli idoli, è stato da noi rinnegato. Non è che l'idolo sìa qualche cosa di reale, come dice l'Apostolo, ma tutto quello che viene fatto ad essi, lo dobbiamo pensare come rivolto al demonio: tutte le potenze demoniache si uniscono nelle cerimonie che si tributano agli idoli, siano questi immagini di defunti o di divinità. Perciò, dal |61 momento che in tutte e due gli aspetti di questo culto idolatra, ci è in fondo un carattere unico, perché i morti e gli Dei si uniscono in fine in un'idea sola, noi ci asteniamo dall'una e dall'altra forma di credenza idolatra e non teniamo in considerazione alcuna né i templi, né i monumenti sepolcrali; non riconosciamo né l'uno né l'altro altare, non adoriamo né l'una né l'altra effigie, non facciamo sacrifizi, non rendiamo culto ai morti; non ci serviamo di nulla, di quanto ha potuto servire a cerimonie sacrificali o in onore di defunti, perché non possiamo nello stesso tempo assiderci al banchetto divino e prender parte alla mensa delle potenze avverse demoniache. La gola dunque e il corpo li teniamo ben lontani da ogni influenza corrompitrice; quanto maggiormente dunque dovremo tener separate le parti più nobili di noi, l'occhio e l'orecchio, da ogni forma di culto e di tributo che si potesse dare ad idoli o a defunti! Non è qualcosa che possa avere un processo del tutto fisiologico: certi dati caratteri penetrano e si trasfondono coll'anima nostra stessa: e a Dio preme maggiormente la purità e l'integrità delle anime nostre, piuttosto che dei nostri poveri corpi.

CAPITOLO XIV. 

Donde venga ricavata la proibizione degli spettacoli fatta da Dio, ai cristiani.

Ora, dal momento che questo nome |62 d'idolatria l'abbiamo visto così connesso cogli spettacoli, questa ragione sola dovrebbe aver peso sufficiente, per rendere chiara la causa della condanna aperta ed esplicita di essi; ma a maggiore persuasione considereremo la cosa anche sotto un altro punto, in servigio sopratutto di coloro i quali cercano di trovare a sé stessi delle scusanti e giustificazioni per il fatto che non è nelle sacre scritture detto esplicitamente di doversi astenere dagli spettacoli, come se poco, contro questi, sia stato asserito quando si rivolge aperta condanna a tutto ciò che sia concupiscenza mondana (21). Ve pure, ardore e brama di denaro; c'è, chi desidera onori e dignità, c'è, chi si lascia trasportare dal desiderio sfrenato della gola, chi s'abbandona a capricci e a scompostezze, chi è abbagliato dal fulgore della gloria: una forma di concupiscenza è anche quella del piacere e gli spettacoli rientrano appunto nell'ambito del piacere: le diverse brame così generalmente chiamate, comprendono in loro il principio del piacere e se tu consideri poi i piaceri in particolare, questi riguardano anche gli spettacoli. Prima noi abbiamo, del resto, parlato della condizione e della natura dei luoghi: essi non sono mica di per sé stessi ragione e fonte di corruzione e di rovina, ma bensì quanto in quei luoghi viene rappresentato e compiuto: è da ciò |63 che essi acquistano carattere di contaminazione la quale poi viene tramandata ad altri, via via.

CAPITOLO XV. 

Lo spirito prova un turbamento e una commozione grande, di fronte alle impurità e alle vergogne cui si assiste negli spettacoli.

Sia pure ormai considerato il punto principale della idolatria, come avemmo a dire; restano da considerare tutti gli altri elementi che sono contrari alla natura di Dio. Questi ci ordina di seguire lo Spirito Santo, in tutta tranquillità, serenità, con un senso di pace, di quiete, come ciò che, per sua stessa natura, è tutto bontà ed amore: nulla può accordarsi con lui che sia ispirato a furore, ad ira, a sentimenti di sdegno; nulla che abbia un carattere d'inquietudine, di risentimento, di dolore. Come è dunque possibile presenziare agli spettacoli? Non c'è genere di spettacolo nel quale il nostro spirito non abbia scosse e fremiti. Dove può esistere soddisfazione, deve pur esserci un certo interesse, una certa passione che alimenta questo nostro godimento; ma dove c'è una certa opposizione, deve per forza affiorare un principio di contrasto e ardore di desiderio, e dove, quindi, si riscontri ciò, esiste anche una certa febbre, sorgono sentimenti d'ira, di sdegno, scoppia talvolta il furore e regna un motivo doloroso; cose tutte, queste, che sono in |64 perfetto contrasto colla serenità della disciplina cristiana. Ammettiamo pure che taluno, con un senso di moderazione e di equilibrio, usi degli spettacoli secondo l'età sua, e come lo comportino la sua natura e il grado di dignità che ricopre; tuttavia l'animo suo non potrà rimanere insensibile, indifferente; e non sarà possibile che non sia scosso da fremiti occulti di passione. Il divertimento è qualcosa che presuppone in certo modo l'interessamento e la passione, e questi adescamenti portano necessariamente ad errori e a traviamenti, ed essi a loro volta allo sviluppo di altre passioni; del resto, se questa specie di intimo fuoco venisse a sparire, non esisterebbe più il piacere e sarebbe tacciabile di sciocchezza e di follia, se taluno corresse colà, dove egli pensasse di non poter in certo modo conseguire nulla che gli fosse d'intima soddisfazione. Ora io credo che, nel caso nostro, non si debba parlare di vanità, di leggerezza, di follia; i quali caratteri sono estranei completamente a noi.

E quando poi uno si pone fra gente, simile alla quale egli non vuole essere, implicitamente viene a condannare sé stesso e a riconoscersi come uno che approva i loro sistemi di vita. Non è mica sufficiente per noi il non compiere alcuna cosa come loro, noi non dobbiamo aver rapporti con coloro che tali cose fanno. Ascoltiamo il rimprovero che fa il Profeta; Se vedevi un ladro, dice la scrittura, ti univi a lui (Salmo 49-18); ma Dio volesse che nel mondo potessimo |65 star da loro lontani, non indugiarci mai con essi; tuttavia però, almeno nelle manifestazioni secolari cerchiamo di essere divisi: il mondo è creazione di Dio, tante cose del secolo invece appartengono al demonio.

CAPITOLO XVI. 

Tutto è furore negli spettacoli del Circo: i cristiani ne debbono stare ben lontani.

D'ira e di follia noi non possiamo nè dobbiamo parlare: ci sentiamo quindi lontani da ogni genere di spettacoli, e dal Circo anche, dove principalmente ogni manifestazione di furore, di pazzia trionfa e grida: guarda un poco: è il popolo che corre agli spettacoli e come se ne viene già tutto ebbro, in preda ad una specie di febbre e di passione, tumultuante, cieco, eccitato per le scommesse impostate. Gli sembra che il Pretore non venga mai al momento; è l'ansia che domina, e gli occhi son sempre fissi, lì, all'urna della sorte. Ecco che in fine attendono il segnale della partenza: sembra una voce sola che in un dato momento s'innalza; è la pazzia, collettiva che grida, e che sia proprio follia si capisce bene da quel che scioccamente vanno ripetendosi: oh il segnale è già dato, ci siamo; e si annunziano gli uni e gli altri ciò che è ormai a conoscenza di ognuno. La prova della loro cecità è poi questa: il segnale è stato dato da un |66 fazzoletto che al momento opportuno il Pretore ha lasciato cadere: ma non sanno mica essi che cosa quell'oggetto sia veramente: un fazzoletto, lo credon loro; ma è l'emblema del demonio che è stato lasciato cadere; ed è tutta un'ebbrezza strana, ci si accalora, ci s'inquieta, nascono risse, dissensi, tutto quello, insomma, che chi ama e sostiene la pace e l'amore non può riconoscere. Parolaccie, imprecazioni, vengono lanciate; odii che si suscitano, senza che ve ne sia una ragione, favore e plausi dall'altro lato, con assoluta mancanza di merito. — Che cosa pensano di guadagnare costoro che seguono una tale linea di condotta? si può dire che essi non appartengono più a loro stessi; e che cosa si può dir loro che vi sia esclusivamente, se non la perdita del proprio io, in quest'abbandono alla più pazza bestialità? Si contristano di una infelicità che riguarda altri e si allietano pure di una gioia che è d'altri ed infatti tutto quello che forma l'oggetto del loro desiderio ardente e sfrenato e quanto invece solleva il loro sdegno, è estraneo completamente ad essi: vano è l'amore come ingiusto è l'odio; e non ti pare invero che sia ugualmente strano, amare senza una ragione e odiare pure, senza che di ciò ci sia un motivo? Iddio certamente proibisce l'odio, anche qualora questo fosse giustificato: egli vuole che si amino anche i nemici. Iddio non vuole che escano da noi parole di maledizione anche giuste, dal |67 momento che ci prescrive di benedire chi pure impreca contro di noi.

Che cosa può darsi di più tristo e doloroso del Circo, dove non si usa riguardo alcuno, neppure a gente che riveste una certa posizione, neppure ai propri cittadini? Se dunque, qualcosa di quello per cui il Circo s'abbandona a furore e ad ebbrezza, in qualche altro luogo può essere di spettanza di anime buone e pure, potrà essere lecito, di conseguenza, anche se compiuto nel Circo, ma se in nessun luogo si riconoscerà tale, neppure nel Circo acquisterà il carattere di cosa lecita e permessa.

CAPITOLO XVII. 

I teatri sono sentine d'impurità e di disonestà.

Nello stesso modo ci vien fatta proibizione assoluta di tenerci lontani da ogni forma di vergognosa scompostezza e di abbandono: è per questo che noi stiamo ben lungi dal teatro ed, infatti, che cosa è esso mai, se non un luogo dove ogni forma d'impudicizia e di disonestà viene ad essere tacitamente accolta e dove non si mena buono nulla, se non tutto quello che altrove riscuote la maggiore riprovazione e condanna? Quello che fa riscuotere al teatro, il favore più grande, risulta da tutto un insieme di immoralità: ogni cosa è basata su di esse: uno di |68 Atella (22) s'abbandona a gesti ridicoli ed immorali; ecco una rappresentazione mimica; vi sono anche donne che recitano, portando proprio fino all'ultimo gradino quel senso di dignità e di pudore che è pure proprio della donna: è più facile che una arrossisca in casa... ma sulla scena non sarà mai. Il pantomimo finalmente ha vissuto sulla propria persona l'onta della vergogna più turpe, ancora fanciullo, per poi esser capace di rappresentarla sulla scena in un modo, così efficace. Si portano sulla scena donne da trivio, avanzi della corruzione e del pubblico più bestiale capriccio; più disgraziate lì, sotto gli occhi stessi delle matrone alle quali sole erano rimaste forse nascoste: eccole lì, ora, portate in bocca di tutti: gente d'ogni età e di ogni qualità e grado: si sa il luogo della loro vergogna, il prezzo del loro disonore, le loro abilità e i loro pregi!... sono proclamati... anche a chi non li vorrebbe sapere. Non dico nulla poi di tutto il resto che |69 bisognerebbe tenere gelosamente nascosto nei più solitari recessi e sotto la cortina più densa di tenebre, perché tante vergogne non riescano ad inquinare e ad offuscare la luce del giorno. Provate vergogna, o senatori, e così pure o cittadini, di ogni ordine, arrossite! E quelle donne che ormai hanno infranto il senso e il principio del loro onore e della loro dignità, nel timore che esse hanno di presentarsi in piena luce al cospetto di tutto un popolo, arrossiscano di vergogna, per quei loro gesti immorali, almeno una volta in un anno. Se ogni forma di volgarità e di bassezza deve esser colpita dalla nostra maggiore esplicita esecrazione, come potrebbe esser lecito udire ciò che non ci è possibile di dire?

E nello stesso modo non sappiamo noi forse che Iddio condanna ogni turpe manifestazione ed ogni parola non buona? E come potremo impunemente vedere ciò che è pur colpa, il commettere? Perché quello che viene espresso dalla bocca nostra, può esser ragione di colpa e di riprovazione, e non invece quello che noi percepiamo colla vista e coll'udito? gli occhi e l'orecchio sono, in certo modo, i custodi del nostro spirito, e come è possibile che esso sia qualcosa di puro e di integro, quando un principio di corruzione prenda questi organi che lo sorvegliano? Se ci è dunque proibita ogni forma d'impudicizia e di corruzione, anche il teatro stia ben lontano da noi. |70 

CAPITOLO XVIII. 

Le tragedie, le commedie hanno in loro qualcosa d'illecito e di empio.

Se noi proviamo un senso di dispregio per i dettami della letteratura profana, come di quella che non può esser giudicata da Dio se non come qualcosa di stolto e di sacrilego, mi sembra anche che siano implicitamente proibiti a noi tutti quei generi di rappresentazioni che trovano motivo e ripetono la loro natura dalla letteratura stessa e che pongono sulla scena o elementi di ridicolo o caratteri di forza e di violenza. Se infatti le tragedie o le commedie mettono dinanzi ai nostri occhi lo svolgersi di azioni atroci, o di violente passioni che trovano loro sfogo nel sangue o nelle più volgari bassezze, non senza empietà e dilagare di altre colpe; non può darsi che esse siano in certo modo più tollerabili delle azioni stesse. Ciò che viene respinto e stimato degno di condanna, nell'atto stesso di compierlo, non si può neppure accettarlo in parole. Se poi mi verrai a dire che eppure nelle sacre scritture si fa menzione dello stadio, oh, sì, questo è vero, ma a tutto quanto si svolge nello stadio, non potrai mica negare che sia indegno e indecoroso per te rivolgere lo sguardo! Sono colpi di pugno, e di piede, sono atti molteplici di violenza e di forza e si viene colpendo, alterando, guastando la più bella e nobile parte del corpo dell'uomo |71 che è la faccia, pur creata a sembianza e ad immagine di Dio. Non potrai tu, o cristiano, approvare mai la folle magnificenza delle corse, il lancio del disco, e i salti, occupazioni più sciocche ancora. Non ti potranno mai piacere le manifestazioni di forza o vane o miranti all'altrui offesa; e non approverai neppure quella soprastruttura di ornamenti e di abbellimenti del corpo, come qualcosa che tende a snaturare l'eccelsa opera di Dio. E un sentimento d'odio proverai per coloro che s'ingrassano a bella posta, perché siano poi di spasso e di sollazzo alla Grecia! Fu il diavolo che soffocò ed uccise i primi uomini: ebbene; anche l'arte della palestra ha qualcosa di diabolico: nei primi movimenti hai qualcosa di molto simile a quelli del serpente, infatti: tenace nell'afferrare, tortuoso nell'avviticchiarsi, lubrico e sdrucciolevole per cercare di svincolarsi e di sfuggire. Se a te nulla servono le corone colle quali tali arti ginniche si premiano, a che vai cercando di procacciarti quelle tali soddisfazioni che ti arrecano, come premio, queste corone stesse?

CAPITOLO XIX. 

Quali crudeltà sono quelle che si vedono compiute nell'anfiteatro!

Ora attenderemo che dalle Sacre Scritture venga pure a noi la parola di rinunzia e di rinnego |72 alle rappresentazioni dell'anfiteatro? Se possiamo provare che noi abbiamo il carattere della crudeità, dell'empietà, della fierezza, rechiamoci all'anfiteatro, e se pur siamo tali noi cristiani, quali dicono, dilettiamoci pure del sangue umano: è in fondo giusto questo, se coloro che vengono puniti sono i veramente colpevoli; ed infatti chi potrebbe infirmare questa asserzione se non colui che, appunto, si trova in colpa? Ma, con tutto ciò, chi è un uomo dabbene non può mai provar soddisfazione del supplizio di un altro : è più conforme ad un'anima buona e non colpevole, il provare senso di rammarico e di dolore, per il fatto che una creatura uguale a lui si sia resa così macchiata da colpa, da rendersi meritevole di una pena sì grave e crudele. Chi poi purtroppo mi può assicurare e garantire che coloro, che sono destinati ad esser vittima delle belve o che sono condannati a qualunque altro supplizio, non siano innocenti? Ma che questa loro incolpabilità venga, disgraziatamente, ad esser compromessa o da un senso di vendetta di chi è preposto al giudizio, o per la poca energia e risolutezza di chi deve difendere, o per falsità di procedimento? E non è meglio allora non sapere quando i malvagi siano giustamente puniti, per potere ignorare anche, quando i buoni vengono immeritatamente colpiti, sempre ammettendo, s'intende, che pur qualche elemento di bene possa germogliare anche fra loro? Ed è cosa sicura, senza dubbio, che vi siano gladiatori, talvolta, in cui non c'è |73 ombra di colpa e che pure si presentano nel circo per il crudele piacere degli spettatori! Ma poi, anche quelli che vengono esposti al pubblico per qualche colpa, come può avvenire che in certo modo trovino ammenda alla loro minor colpa, col rendersi dopo, omicidi? È questo che io ho risposto ai pagani. Del resto, non voglia mai Iddio che il Cristiano impari ad allontanarsi da spettacoli di tal genere, dopo lunga esperienza, per quanto nessuno possa avere una idea chiara e completa di tutte le scelleratezze e le oscenità che vi si commettono, se non chi le abbia, si può dire, in ogni momento dinanzi agli occhi. Preferisco, per parte mia, però, non condurre a termine ed esaurire l'argomento che ho preso a trattare, piuttosto che tornare colla mente a tanti orrori.

CAPITOLO XX. 

Si possono fare delle obiezioni in difesa degli spettacoli: ebbene, opponiamo ad esse forza e sicurezza di risposta.

Quanto mai vano sarà, per non dire assolutamente disperato, il procedere di coloro, i quali senza dubbio alcuno, coll'unico scopo di prendere, come si dice, un po' di tempo, per dovere rinunziare e rinnegare le cerimonie degli spettacoli, vanno arzigogolando che nelle Sacre Scritture non è esplicitamente fatta proibizione ai |74 servi di Dio d'intervenire a tali radunanze! Io, or non è molto, ho sentito una difesa di nuovo genere architettata da un tale, che era tutto preso dalla passione di questi giochi. Il sole, diceva costui, anzi, Iddio stesso, dal cielo vede tutto, ma non c'è cosa che lo possa in certo modo contaminare. Il sole lancia il fulgore dei suoi raggi nelle cloache profonde ed oscure, ma non perdono essi nulla della loro punta e del loro splendore! Or volesse il cielo che Iddio non mirasse le colpe e le scelleratezze umane, in modo che tutti potessimo scampare così al suo giudizio! Ma Iddio vede invece i nostri errori, conosce quanto è in noi di falso e di fìnto; gli sono noti i nostri inganni, le nostre credenze idolatre, e gli stessi spettacoli: ed è appunto per questo che non vi assisteremo mai, noi, appunto per non cadere sotto la sguardo suo, che tutto vede e che tutto abbraccia. Tu metti a confronto, o uomo, il reo e il giudice: il reo che è appunto tale perché è scoperto, il giudice che è giudice appunto perché vede e scopre. Ma quindi, noi forse al di fuori dello spazio segnato dal circo, indulgeremo al nostro pazzo furore, o ci abbandoneremo forse a manifestazioni fuori del teatro, impudiche, o al di fuori dello stadio ad abbandoni colpevoli, oppure, al di fuori dell'anfiteatro, a manifestazioni di crudeltà? No, perché Iddio penetra col suo sguardo anche oltre a quello che può essere e loggia e gradinata e portico di edifici diversi. Noi saremmo sempre in errore: in nessun luogo e in nessun momento deve esser |75 lecito fare quello che non è lecito sempre e dovunque. È questa la legge su cui s'impernia il principio assoluto della verità: e così ci dobbiamo di fronte ad essa, contenere, nella pienezza intera e nella immutabilità di una disciplina: è questa la linea di quel timoroso ossequio che dobbiamo mantenere e il nostro principio deve essere qualcosa di fisso e di invariabile. Non può mai esistere qualcosa di diverso, da ciò che in sé stesso è in un dato modo, o sia bene, o sia male. Tutte quante le cose guardano alla verità assoluta che risiede in Dio.

CAPITOLO XXI. 

Il bene e il male sono tali per loro natura: non possono tali principî assoluti andar soggetti a luoghi e a circostanze.

Gli idolatri, presso i quali non si può riscontrare affatto vero e assoluto splendore di verità, perché essi non conoscono Iddio, che è luce e dottrina del vero, intendono il male e il bene secondo un criterio tutto arbitrario, proprio a capriccio e consideriamo così, bene, ciò che in altro luogo pensano come male, e giudicano male, quanto in altre circostanze riconoscono per bene. E quindi avviene che colui il quale non avrà l'ardire in pubblico di compiere atto che pur risponda ad una esigenza grave ed impellente, nel circo invece, con tutta sfacciataggine, si veda magari |76 danzare in modo da costituire quasi una sfida alla pubblica moralità. E così si verifìcherà pure questo caso: c'è uno che voglia tener lontano l'orecchio della sua figliuola ancora fanciulla, da ogni cosa che possa sonare corruzione e vergogna? Ebbene, invece, pur secondo quel principio, si vedrà che la condurrà in teatro ad ascoltare parole e a veder gesti che non rispondono ad una linea di educazione sana ed onesta; e chi in aperta piazza cerca di comporre violenza di lite o che ha per essa parola di condanna, si vedrà poi che nello stadio assisterà a gare e a contrasti più cruenti e ben più gravi. Avverrà che colui che non potrà senza profonda impressione guardare un cadavere di persona, defunta per morte naturale, quello stesso, invece, in pieno anfiteatro, fisserà i suoi occhi, tranquilli e impassibili su quei corpi straziati, quasi fatti a pezzi, che nuotano nel loro stesso sangue. Si può dare il caso che uno si rechi ad assistere ad uno spettacolo, riconoscendo giusta la pena che viene inflitta ad un omicida; ma avverrà nello stesso modo che costui costringa il gladiatore, che pur non vorrebbe, a furia di sferzate e di battiture, alla stessa forma di omicidio che egli stesso ha prima condannato. E chi richiede che sia lasciato in pasto ad una belva quegli che ha più volte dato crudelmente la morte, il medesimo potrà poi arrivare a chiedere che le insegne di un ben meritato riposo siano concesse a quello stesso gladiatore ardito e crudele; qualora riesca vincitore dalla lotta e può essere |77 anche che si abbia senso di compassione verso colui, alla vita del quale da lontano si imprecò e di cui si desiderò la morte: e se ciò non fu, noi non lo potremmo attribuire ad altro senso, che a maggiore fierezza e crudeltà (23).

CAPITOLO XXII. 

Gli uomini non seguono un'eguaglianza di criterio nel giudicare: le stesse azioni appaiono loro ora buone, ora malvagie.

Oh, quanto non è strana questa maniera che gli uomini seguono nei loro giudizi, lontana da ogni criterio di equanimità e di uguaglianza, ma confondendo, invece, i principî del bene e del male, secondo che li convinca l'instabilità del loro pensiero e la mutabilità dei loro sentimenti! Da parte di coloro stessi che a proprie spese |78 preparano e regolano il procedimento degli spettacoli, i guidatori delle quadrighe, gli attori scenici, i lottatori, i gladiatori sono soggetti a manifesta riprovazione e vengono mal giudicati per quelle medesime facoltà per le quali, sotto un'altro punto di vista, sono ricercati e magnifìcati: costoro sono proprio quei gladiatori che suscitano fervore di passioni nel cuore di uomini e di donne che sono pronte a dar loro, gli uni tutto il loro entusiasmo, le altre, e forse anche i primi, il fiore della loro bellezza e della loro purità; sono quelli per i quali giungono a commettere quello che poi dicono meritevole e degno di riprovazione, E questi stessi uomini si vedono dopo colpiti da condanna; vengono diminuiti nell'esercizio dei loro diritti, sono tenuti lontani dalla curia, dal rostri, esclusi dal senato, dalla classe dei cavalieri, da tutto quanto possa rappresentare onore, cariche e dignità personali. Quale sconvolgimento d'idee e di giudizi non è mai questo! Essi amano quelli che poi condannano; abbassano e vituperano coloro, che prima hanno lodato ed esaltato. Innalzano il principio e il carattere di una data manifestazione ed attività; chi la rappresenta va incontro invece a biasimo e a taccia di colpevole. Come può esservi un giudizio di questa fatta; che cioè quelle facoltà per le quali taluno è stimato degno di encomio, si trasformino poi in ragioni di riprovazione e di condanna? Ma anzi è proprio, il riconoscimento più |79 esplicito che una data cosa sia male quando appunto chi di essa sia parte viva ed essenziale, e ne riscuota plauso e favore, venga dimostrato poi, anche lui, non scevro di colpa.

CAPITOLO XXIII. 

Come dovrà giudicarli Iddio, gli spettacoli, se gli uomini pure hanno per essi parola di riprovazione e di condanna?

Dal momento che gli uomini, nel loro senso di giustizia e nella loro riflessione, stimano come meritevoli di condanna e di riprovazone coloro che a questi generi di spettacoli si dedicarono e ne favorirono lo sviluppo, nonostante che potesse far loro velo in certo modo la visione di un piacere scomposto e chiassoso e poiché pensano che, lungi da ogni splendore di onori, di dignità e di rinomanza, debbano incappare come in pericoloso scoglio, in un'accusa d'infamia, con quanta maggior violenza e severità dovrà agire la divina giustizia? È mai possibile che possa piacere a Dio quell'auriga che tiene in ansia e in tormento tanti spiriti, che tante insane passioni può sollevare, che di tante immagini false e bugiarde è in certo modo sostenitore e protettore? Eccolo ora, cinta la testa di corone, ora ammantato di vari colori, come un mezzano volgare che il demonio trasportò veloce sul carro, quasi per |80 contrapporlo ad Elia (24). E potrà forse piacere a Dio, chi, radendosi colla lama tagliente del rasoio altera i caratteri del suo volto? Comincia ad essere insincero con sé stesso costui; e non contento poi di aver reso la sua faccia liscia ed ef-femminatamente giovanile come quella di Saturno, di Iside, di Bacco, lascia che su di essa piovano schiaffi in abbondanza, così che pare che sia da lui quasi posto in ridicolo il precetto del Signore? (25). Ciò significa evidentemente che anche il diavolo insegna ad offrire la guancia alle percosse... (26). E così, allorché cogli alti calzari dei coturni, gli attori tragici sembrano crescere di statura, pare che voglia il demonio dimostrare falso quanto Gesù ha affermato, che nessuno cioè potrà aggiungere un cubito alla propria statura (27). Del resto io mi vorrei domandare se può |81 riscuotere l'approvazione del Signore, il ritrovamento delle maschere; ma non è Lui che ci vieta ogni forma di finzione e di falsità? E tanto più nel falsare l'immagine nostra che è pure fatta ad immagine sua? Chi ha creato il principio assoluto del vero non può riconoscer la menzogna e tutto ciò che viene simulato e falsato non può costituire al suo cospetto, che colpa! Chi mentisce nella sua voce, chi simula diversità di sesso, chi finge e falsa la propria età; chi va con finzione rappresentando ardore di passione, fremito d'ira, gemiti di dolore, singulti di pianto, non potrà mai riscuotere l'approvazione di chi ha pur detto una parola di condanna, per tutto ciò che è ipocrisia e negazione di verità. Iddio ha fissato nelle sue leggi che sia maledetto colui che si ricoprirà di vesti femminili (28): ebbene che cosa mai dovrà giudicare del pantomimo, che a contraffare ogni espressione femminile s'adopera? E che forse potrà andare impunito chi, con una certa sua abilità, colpirà fortemente colle sue mani? Ricevè egli forse, allorché Iddio lo plasmò, le cicatrici che gli avranno poi fatte i colpi avuti dai cesti? e forse le lividure in seguito alle percosse? ebbe forse gli orecchi guasti e mal ridotti per i colpi sofferti? E Iddio gli concesse la grande grazia dell'occhio, perché questo poi divenisse pesto e rovinato da eccessi bestiali di violenza? |82 Non dico proprio nulla poi di colui che espone e spinge un suo simile alle furie di una belva per non sembrare d'essere poco omicida, dal momento che, se quello sciagurato sfuggirà alle zanne del leone, egli lo finirà di scannare.

CAPITOLO XXIV. 

Col sacramento del battesimo si rinunzia a qualsiasi genere di spettacoli; chi v'assiste, in certo modo, rinnega il battesimo.

In quante maniere ancora sosterremo che fra quanto si ricollega agli spettacoli, nulla può piacere a Dio e che quindi non ci può esser cosa che, non piacendo a Dio, risponda ai desideri di chi si professa suo servo? Se pure abbiamo mostrato che tutto fu ordinato e organizzato dalla potenza del male (ed infatti tutto quello che non è di Dio o che a Dio non è gradito, è cosa del diavolo), resta ormai assicurato che è dominio di questo stesso potere demoniaco, ma è proprio nel sacramento che è segnacolo di fede, che noi abbiamo recisamente rinnegato tutto questo, e a ciò, dunque, che non abbiamo primamente riconosciuto, non dobbiamo affatto dare poi il nostro assenso né coll'opera, né colla parola e neppure, semplicemente, essendo spettatori di tale scempio. E del resto, non sarebbe rinnegare il principio del battesimo, quando noi non osserviamo quanto si è inteso di testimoniare |83 solennemente con esso? Resta forse che noi attendiamo una risposta dai pagani stessi? Ebbene ce lo dicano essi in persona, se sia concesso ai cristiani partecipare agli spettacoli : è proprio dal fatto della non frequenza agli spettacoli che essi vengono a comprendere chi abbia abbracciato la fede cristiana: e quindi verrebbe a negare la propria credenza implicitamente, colui che non tenesse saldo in sé quel carattere per il quale la sua fede venisse riconosciuta chiaramente. E qualora questo avvenisse, quale speranza più si potrebbe concepire di un uomo siffatto? Non c'è nessuno che passi nel campo nemico, prima d'aver gettato via le proprie armi, abbandonate e tradite le proprie bandiere, infranti i giuramenti prestati al suo Principe; nessuno vi è, se prima non abbia già deciso d'andare incontro ad inesorabile rovina.

CAPITOLO XXV. 

Come è possibile nutrire santità di pensieri, in mezzo all'obbrobrio degli spettacoli?

O che forse potrà rivolgere in certo modo i suoi pensieri a Dio, colui che si trova dove nulla proprio parla della divinità? Potrà avere nell'animo suo un principio di pace e di superiore serenità, chi è pronto con tanta passione a prender le parti di un'auriga? E chi è tutto preso nella contemplazione dei mimi, sarà mai possibile che serbi in sé un principio di pudore e di rispetto? |84 In ogni genere di spettacoli non potrà invero riscontrarsi maggiore vergogna che quella ricerca di lusso e di eleganza, tanto da parte degli uomini che delle donne; ed inoltre quella loro promiscuità, e, s'intende, che quell'interessamento comune per i giochi od anche quel contrasto che andava verificandosi nel favorire uno, una parte, l'altro, l'altra, spesso suscitava e favoriva lo svilupparsi di malsane passioni. Non c'è alcuno che frequenti gli spettacoli, che possa rivolgere il pensiero a qualcosa di diverso da questo: a vedere e ad esser veduto. Quando un attore tragico reciterà in tutta la sua esaltazione, ma pensi davvero che qualcuno possa andar rimuginando in cuor suo, quel che può aver detto un profeta? E fra i motivi molli ed effemminati di un istrione andrà forse taluno ricordandosi di un salmo? E quando gli atleti sono nel fervore e nella fierezza della lotta, sarà proprio possibile che si ricordi quel divino precetto di non rispondere alle offese e alle ingiurie? E chi avrà dinanzi agli occhi suoi l'orrore delle ferite delle belve e i gladiatori tergentisi il sangue sgorgante copioso dalle ferite, potrà forse provare sensi di pietà e di misericordia? Iddio tenga sempre lontana dai suoi una cupidigia così folle e insana di piacere! Che cosa significa mai questo scendere dalla Chiesa di Dio, nel dominio della potenza avversa e nemica? O, come si dice, questo precipitare, dall'alto dei cieli, nell'abisso? Che cosa è mai quel plauso che tu tributi ad uno |85 istrione volgare, quando quelle mani tu l'abbia sollevate per rivolgerti a Dio? Che cosa è mai quel prestar testimonianza di ammirazione a un gladiatore, quando con quelle stesse labbra hai pronunziato in uffici divini la parola « Amen »? (29). Che cosa rappresenta mai quell'esclamare per altri, che non fosse per Iddio e per Cristo Gesù, nei secoli dei secoli? (30).

CAPITOLO XXVI. 

Il teatro è cosa che ha in sé carattere demoniaco.

E qual ragione vi è quindi di meravigliarsi, che gente di tale razza, lascino che le potenze demoniache s'impadroniscano e dominino su di loro? C'è una prova chiara e lampante infatti: Dio l'ha permesso più di una volta: si ricordi quella donna che si recò in teatro e di là si ritornò, invasata dalle potenze del demonio. Nelle cerimonie compiute per bandire dal suo spirito la potenza demoniaca, essendo questa fatta bersaglio ad attacchi fieri e violenti, perché aveva osato assalire chi tanto ardore di fede possedeva, rispose: io ho esercitato pienamente su di essa il mio potere e secondo una linea della più |86 assoluta giustizia, perché io l'ho colta in un dominio che è mio. Sappiamo pure che ad un'altra accadde di non sopravvivere cinque giorni a quella notte, nella quale ella vide comparirsi in sogno quella scena, la quale rammentava a lei di avere assistito il giorno innanzi ad una rappresentazione tragica, dopo che, a sua vergogna, le fu ricordato a nome l'attore di quel dramma! E quante altre prove si sono potute ricavare dal castigo capitato a coloro che, avendo negli spettacoli avuto contatto colle potenze demoniache, s'allontanarono dalla grazia divina? Del resto, nessuno può servire a due padroni: (31). E come, poi, sarebbe compatibile la luce colle tenebre? come poter conciliare la vita con la morte? (32).

CAPITOLO XXVII. 

Ogni godimento che può esser dato dagli spettacoli, è intimamente unito con qualcosa di empio, di sacrilego, di diabolico.

Noi non possiamo provare per queste radunanze di pagani, che un senso profondo di odio: non è qui infatti che il nome di Dio vien bestemmiato? Non è qui che in ogni giorno si richiede |87 che veniamo al cospetto delle belve per esserne le vittime innocenti? Non è qui che ogni sorta di persecuzione verso di noi trova sfogo e la sua più clamorosa manifestazione? E non è di qui che ogni forma di tentazione può sorgere? Tu, se ti troverai in mezzo a quella febbre di passioni malsane, come ti comporterai? Nessuno ti conosce, ammetti, come cristiano; e quindi nessun male potrà avvenire a te da parte dei tuoi simili: ma non importa, pensa come tu sarai giudicato nel cielo: puoi forse dubitare che in quello stesso momento nel quale la potenza del demonio agì su te; nella chiesa; non volgessero il loro sguardo su di te, gli angeli tutti dal cielo e che, uno per uno non ti individuassero? Non vuoi che fosse scoperto chi disse parola di bestemmia, chi l'ascoltò; chi, insomma dette e la propria lingua e il proprio orecchio in pieno potere di una potenza demoniaca, contro la divinità? E quindi non fuggirai lontano, da dove risiedono i nemici del Signore, da quella sede di rovina e di sciagure, da quell'aria stessa inquinata e guasta da parole scellerate ed empie? Ammettiamo anche che gli spettacoli ti possano apparire di per sé stessi, come aventi un carattere di semplicità, di onestà, di rettitudine, di legittima gioia: ebbene? È naturale tutto ciò: non troverai infatti nessuno che col fiele e coll'elleboro temperi il veleno: egli cercherà vivande dolci e piacevoli, gustose e quel male che egli vi getterà, sarà appunto contemperato e, in certo modo, nascosto da quella dolcezza; |88 così, nello stesso modo, la potenza avversa e diabolica mescolerà a quanto Iddio può aver di più grato e di accetto, tutto quello che può esservi di più amaro, di tristo e di mortale. Tutte le cose che riscontri in quelle manifestazioni, abbiano pure attributo di forza e di onestà, abbiano pure onda di musica e di poesia e si rivelino ingegnose e sottili, tuttavia rifletti che in nulla queste cose si differenziano da gocce di miele che si versano in un calice avvelenato: non ti faccia quindi tanta gola il piacere; quanto dovrà essere invece il timore che sarà suscitato in te da tutto quello che si presenterà ai tuoi occhi, sotto l'apparenza del piacere e della gioia.

CAPITOLO XXVIII. 

È nella vita dell'ai di là che i Cristiani troveranno le gioie più intime e più piene.

E di tali soddisfazioni false e mondane provino il maggiore compiacimento i seguaci delle potenze avverse e nemiche: sono queste le cose a loro adatte, queste le circostanze favorevoli; e chi li chiama a tutto ciò, è appunto la potenza del male : i nostri banchetti, le nostre nozze, non sono ancora pronte; non è per noi venuto il nostro momento: noi non sappiamo con loro sedersi a lieto convito, perche neppure essi possono stare con noi: la cosa è a vicenda: costoro ora sono in piena gioia e noi invece siamo aspramente |89 provati. Dice Gesù: il mondo esulterà e voi sarete dolenti (33) ed afflitti. Versiamo lagrime dunque, finche sono in tripudio i pagani, per poter darsi a letizia allora, quando essi piangeranno, e perché appunto non dobbiamo nello stesso tempo con loro e rallegrarsi e soffrire. O cristiano, se tu desideri il piacere che ti può esser dato dal mondo, sei troppo falsato nel tuo pensiero; anzi, debbo dirti che, se stimi veramente piacere quello del mondo, hai un grado di stoltezza e follia. Ci sono dei filosofi che onorano con questo nome il piacere, quello che risponda ad un principio di serenità e di tranquillità: e in questa provano la loro soddisfazione più viva, nel pensiero di essa sono distolti da qualunque altra cosa, in essa anche trovano ragione di vanto. E tu sospireresti invece, le gare vittoriose nel Circo, l'onore della scena, il trionfo e la gloria delle pubbliche gare? Vorrei che tu mi dicessi: dal momento che la morte deve costituirci in tanta serenità e letizia, non possiamo noi forse, almeno in vita, stare senza il piacere? E quale potrebbe essere infatti, il desiderio nostro, se non quello dell'Apostolo (34), |90 che appunto aspira ad uscire dalla vita del mondo che ci circonda e poter salire presso il Signore e godere della sua presenza?

CAPITOLO XXIX. 

Anche i Cristiani possono avere tanti spettacoli di gioia e di grandezza su questa terra!

Il piacere, la soddisfazione risiedono dove vi sia ardore di desiderio. Non credere perciò di dover trascorrere questo periodo della tua vita, privo di qualunque diletto e soddisfazione. Perché sei tanto ingrato da non giudicare sufficienti tante e così grandi gioie che pure Dio ti ha dato? Perché vuoi dinanzi ad esse chiudere lo sguardo tuo? E che cosa vi può essere di più piacevole e di più grande che la riconciliazione e l'intesa, intime fra l'uomo e Dio, padre e signore nostro? Che cosa di più luminoso che la rivelazione della verità? Che cosa di più magnifico che il sereno riconoscimento dei nostri errori e il perdono di tante colpe per l'addietro commesse? Quale gioia maggiore di quando noi potremo provar noia del piacere stesso? Quale grandezza la nostra, quando sapremo guardare e considerar con disprezzo quanto ci circonda e ci stringe? Che cosa di più fulgido che il sole della libertà vera, che la luce di una coscienza intemerata e sicura, che una vita modesta e sufficiente? che cosa di più immenso che il poter guardare la |91 morte, senza un senso di timore e di sgomento? Perché tu calpesti gli Dei delle genti? perché scacci da te le potenze demoniache? perché escogiti rimedi e modi di salvezza? perché chiedi al cielo, luce e serenità di rivelazione? perché vivi nel nome di Dio? Perché appunto queste sono le gioie più grandi dei Cristiani, i piaceri loro sacrosanti, che non conoscono occaso, che in luce di grazia risplendono. Sono questi, o Cristiano, i tuoi giochi Circensi: guarda come il tempo vola inesorabilmente, come tutto si cambi e si trasformi nel rapido passare dell'età: attendi che si giunga a quella che sarà la fine di questo nostro mondo, difendi, e combatti per la tua Chiesa, svegliati quando Dio ti chiamerà, sollevati allo squillar della tromba dell'Angelo, gloriati e sorridi della palma del martirio.

Vuoi tu forse da altezza di scienza e da profondità di dottrina, trarre la tua gioia intima e grande? Presso i Cristiani, ebbene, non manca splendore di lettere, non manca onda di poesia, altezza di giudizi e nobiltà di principi; non fanno difetto né armonia di canto, né melodia di voce; e non sono favole vane le nostre, ma affermazioni e proclamazioni di verità, non sono costruzioni artificiose e false, ma è la semplicità e la purità nel suo più luminoso rigoglio. Vuoi tu forse fierezza di lotta e fervore di battaglia? Ecco che esse vi sono e non è tutto questo né piccola, né poca cosa: guarda: l'impudicizia è vinta e travolta dalla castità e dalla purezza, la slealtà e la |92 menzogna cadono sotto i colpi della fede, la crudeità e la perfidia sono soggiogate e peste dalla pietà e dalla misericordia, la presunzione sciocca, ottenebrata dalla modestia e dall'umiltà. Questi sono i nostri certami, queste le gare in cui noi riportiamo onore di corona. Vuoi tu forse infine il segno del sangue? Ecco: hai quello di Gesù Cristo.

CAPITOLO XXX. 

Il Giudizio Universale.

E il Signore in quel giorno giungerà sicuro della sua vittoria, nella sua piena potenza, in assoluto fulgore di trionfo: oh, quale lo spettacolo che ci attende! quale allora la gioia degli angeli del Signore? e la gloria e l'esultanza dei santi che risorgeranno? quale il regno dei giusti? quale ci apparirà la Gerusalemme del cielo? Ma quante altre visioni s'apriranno dinanzi al nostro sguardo: oh, il giorno estremo di un giudizio irrevocabile: giorno, da tanta gente non atteso e non creduto; su cui si è scetticamente sorriso; che giorno sarà per te quanto, nel divampar dell'incendio, vedrai tramontare il lungo scorrere delle età, vedrai dileguarsi e sparire tanta onda di generazioni! Quale magnificenza di visione! che cosa potrò in essa guardare con ammirazione? e su che gettare il mio riso di scherno e di pietà? quale la ragione della mia gioia e della mia |93 esultanza? Oh, quando vedrò tanti re che si facevano sicuri d'essere accolti nel cielo, ed invece li sentirò piangere e rammaricarsi nelle tenebre più fitte e profonde, con Giove stesso e tutti i suoi satelliti! e che dirò di quegli illustri che pure infieriscono con tanta crudeltà nel nome Cristiano, quando saranno straziati dalle fiamme che li consumeranno, ben più tremende di quelle colle quali essi una volta tormentavano ed uccidevano i Cristiani? Ed anche i filosofi si vedranno nel fuoco, coi loro seguaci; quei saggi che volevano convincere come nulla fosse in possesso e in dominio di Dio: essi proveranno la maggiore vergogna per avere affermato o che le anime non esistessero affatto o che, comunque, esse non avrebbero più mai riavuto il corpo entro il quale stettero una volta. Ed anche vi si troveranno i poeti, non più tremanti di fronte al tribunale di Radamanto o di Minosse, ma per il giudizio di Cristo a cui essi non credettero mai: bisognerà allora stare a sentire i grandi autori tragici... ed essi non canteranno più le sventure degli altri, ma bensì piangeranno le proprie calamità... e come gli istrioni salteranno e si moveranno più agilmente, che il fuoco avrà loro sciolto le membra! Si vedrà allora chi una volta guidò la quadriga ad una ruota, in pieno ardore di fiamma, si vedranno non più gli atleti esercitarsi nelle loro scuole, ma nel tormento del fuoco. Ma io bensì neppure allora vorrò volgere su loro il mio sguardo; come quegli che desidero sopratutto fissare |94 l'occhio insaziabile, piuttosto su coloro che contro il Signore incrudelirono tanto. È costui, lo dirò chiaramente loro, quel figliuolo di un fabbro, di un povero operaio che traeva la vita dal lavoro giornaliero, il distruttore del sabato, il Samaritano, quel che pareva avesse in sè una potenza strana ed avversa. Voi lo compraste da Giuda e fu lui che fu percosso con una canna e con schiaffi, fu lui a cui fu recato l'oltraggio maggiore d'essere avvilito dall'uomo; egli ebbe per bevanda fiele ed aceto. Questi è Colui che i discepoli cercarono di nascondere, perché appa-risse come risorto un giorno, e che fu allontanato da chi era il padrone dell'orto, perché appunto le insalate che quivi crescevano non. subissero danni, per il numero grande di coloro che accorrevano in quel luogo. Dimmi ora; il pretore, il console, il questore, i sacerdoti, in tutta la loro splendida liberalità, che cosa ti potranno offrire, perché tu abbia la facoltà di godere di meraviglie di ogni specie? Tali cose, in certo modo, è la fede che l'anima e le presenta al nostro spirito, quasi in piena apparenza di realtà. E che dovrò dire poi di tutte le altre immagini che non cadono sotto i nostri occhi, non colpiscono i nostri orecchi, né sono mai giunte fino all'intima mente dell'uomo? Penso che debbano colpire ben più profondamente l'anima nostra che non il circo, ed ogni altro recinto dedicato a rappresentazioni varie e molteplici.


[Footnotes have been renumbered and placed at the end.]

1. (1) Timeo fiorì fra gli anni 345-250 A. C. Fu di Tauromenio (Taormina) e scrisse in trentotto libri una storia della Sicilia.

2. (2) Pare che risalgano ad Evandro Arcade che, stabilitesi sul Tevere, avrebbe dedicato al suo dio patrio Pa_n Lu&kaioj la grotta del Lupercal ai piedi del Palatino, istituendo la festa di pastori in onore di Faunus Lupercus: poi i Luperci costituirono una specie di collegialità e vi furono i Luperci Fabii e Quintiliani, ai quali s'aggiunsero in onore di Cesare gli Iulii.

3. (1) Liberalia: era Libero che dava il nome a questa festa che si celebrava il 17 Marzo: pare che si debba intendere come una festa per il Sole: infatti le quattro età di Libero, l'infantile, la giovanile, l'adulta, la vecchia, altro non sono che i quattro periodi dell'anno, dal solstizio invernale all'equinozio autunnale. Del dio Libero non trovasi memoria in Roma prima che il Dittatore Postumio facesse voto di dedicargli un tempio insieme con Cerere e Libera, quando, essendo in guerra coi Latini, si trovò in angustia di vettovaglie: forse quegli Dei e il nuovo tempio in Roma, vi segnano l'introduzione del frumento già coltivato e in uso nelle terre conquistate, ma ignoto ai Romani che nei primi tre secoli usavano solo il farro: onde Libero fu poi considerato come apportatore di benessere, nume vivificatore: nei vari riti questi concetti erano simbolizzati: si accendevano tede di pino a significare il sole che tornava a risplendere sulla terra, dopo le tenebre invernali, gli steli che si portavano nel tempio, simboleggiavano il rinverdire della terra e il principio di tutte le cose era raffigurato dall'uovo che era di uso comune in tali feste, consuetudine questa, mantenuta dalla Chiesa nella tradizione dell'uovo Pasquale. Nel giorno delle Liberali certe vecchie incoronate di edera, che stavano per le vie della città sedute a fornelli, facevano focacce per quei compratori che ne volessero per offrirle al nume. Nella solennità della festa, i giovani, giunti al quindicesimo anno, lasciavano la toga pretesta per assumere la virile e con ciò s'intendevano usciti di puerizia, ossia da quella età che nella vita può paragonarsi allo stato della terra uscita dalla stagione invernale (VACCARI - Le feste di Roma antica).

4. (1) Feste che si celebravano nel Marzo, in onore di una divinità, Conso che pare rappresentasse il seme generatore (da conserere) : si fece poi uguale a Nettuno equestre e si ricorda come dio del Consiglio, e un genio ineffabile guidatore e custode dei secreti disegni: si mette in relazione al ratto delle Sabine, quasi che Romolo, nell'occasione, avesse istituito un nuovo nume e un nuovo culto: oltre che nel Marzo, si celebravano feste in onore suo, nell'Agosto e nel Dicembre e queste ultime erano le più solenni e Servio dice che queste veramente erano in antico qualificate Magni circenses (giochi solenni) e non i ludi Megalesi o Romani. Le Equiria consistevano in solenni corse di cavalli che si facevano negli ultimi di Febbraio e si ripetevano il 19 Marzo, nel campo di Marte o sul Celio, in caso di alluvione del Tevere, e colle quali volevasi rappresentare il corso del sole intorno alla terra.

5. (1) I Flamini erano sacerdoti di una determinata divinità e ne curavano i riti e i sacrifìci relativi, da soli, e insieme alle comunità di cui facevano parte, cioè dei pontifices, degli arvales e dei sodales Augustales: ai pontifices si assegnavano 15 Flamini, fra i quali tre maggiori, Flamen Dialis, Martialis, Quirinalis, e dodici minori, fra i quali il Volcanalis, Florealis, Pomonalis, Carmentalis; le Vestali erano state istituite da Numa, secondo la tradizione, in numero di quattro: erano incaricate di importantissimo ufficio come quello di mantenere sempre vivo il fuoco sacro, che simboleggiava la vita della famiglia e dello stato: si vuole che fossero loro comminate pene gravissime, in caso di inadempienza dei voti: A Giove Feretrio venivano dedicate le spoglie opime (spolia opima); cioè quelle tolte a un capitano nemico in singolare certame ed essendo presenti gli eserciti avversari: il tempio di Giove Feretrio era situato sul lato orientale del Colle Capitolino. Vi erano poi le feste Robigalia, da una divinità Robigo, a cui si sacrificava presso i luoghi seminati, perché le biade non fossero guastate dalla ruggine: questa divinità si considerava in modo dubbio, o maschile o femminile: il calendario Prenestino così dice del pubblico sacrificio « Feriae Robigo. Via Claudia ad milliarum 5 ne Robigo frumentis noceat sacrifìcium et ludi cursoribus maioribus minoribusque fìunt ». 

6.  (1) C. Svetonio Tranquillo (75-160 D. C.?) fu storico non di scarsa importanza, specialmente dal lato aneddotico: si ricordano di lui « de genere vestium, de institutione offìciorum, de rebus variis », un trattato di antichità romane e di scienze naturali, detto Pratia; peri\ dusfh&mwn le/cewn h1 toi blasfhuiu~n kai\ po&qen e9ka&sth, che trattava delle locuzioni ingiuriose e della loro origine; un'opera De viris illustribus che trattava de poetis, oratoribus, historicis, philosophis, de grammaticis et rhetoribus, di cui restano le vite di Terenzio, Orazio, Lucano, la vita di Plinio il Vecchio fra gli storici e 25 vite di grammatici: de Vita Caesarum che contiene le biografie di 12 Cesari da Cesare a Domiziano: l'opera di Svetonio fu continuata nel terzo secolo da Mario Massimo, che scrisse le vite degli imperatori da Nerva ad Eliogabalo.

7. (1) I giochi Megalensi (Megalesia o Megalenses) furono istituiti nel 204, in onore della Magna Mater e andavano dal 4 al io Aprile: altri se ne facevano dal 22 al 27 Marzo, secondo il rito Frigio: la leggenda pur essendo raccontata in diverso modo, trova il suo fondamento sempre nell'amore di Cibele per il giovane Atti; i giochi Apollinari cadevano nei primi giorni di Luglio e pare che Apollo fosse qui considerato nella qualità di Nume divinatore: furono decretati durante la seconda guerra Punica per l'appressarsi di Annibale, i Cereali si celebravano dal 12 al 19 Aprile nel Circus Maximus ove si dava la caccia alle volpi con tizzoni accesi legati alla coda; i Neptunali si celebravano il 23 Luglio e pare si trattasse di cosa assai semplice e che si celebrassero sulle sponde del fiume ove si costruivano capanne di rami di lauro, eseguendovi poi giochi, a somiglianzà forse, dei piscatori: forse le feste di luglio acquistarono una importanza maggiore dopo la vittoria di Azio e dopo che Agrippa ebbe fabbricato a proprie spese il portico di Nettuno, per le vittorie navali da lui riportate, decorandolo dì una pittura di Argonauti: ed è possibile che la dedica di quell'edificio sia stata fatta nel giorno delle Nettunali (Vaccari); i Floreali si celebravano dal 28 Aprile al 3 Maggio: Flora pare sia stata una divinità comune a Romani e a Sabini e si confondesse con Acca Larenzia e divenisse simbolo della terra che si presta a chi la coltiva.

8. (1) Ludi Circenses: si facevano nel circo massimo, consistevano in grandi corse di cocchi, a cui si prendeva interesse grandissimo: seguivano giochi ginnasti e il ludus Troiae eseguito a cavallo da giovani nobili; ed altre varie esercitazioni a cavallo e a piedi.

9. (1) Circe era la figlia del Sole e di Perseide; sorella di Eete e di Ecate: abitava questa maga in un'isola presso le coste occidentali d'Italia, vicino al monte Circeo: i compagni di Ulisse furono da essa cambiati in animali immondi, ma Ulisse li liberò e innamoratosi di Circe, ne ebbe due figli, Adrio e Telegono.

10. (2) Castore e Polluce: i Dioscuri erano figli di Giove e di Leda : Castore era famoso nel domare i cavalli, Polluce nel pugilato. Accompagnarono gli Argonauti e combatterono i figli di Afareo a cui avevano rapito le spose Febe ed Ileira dette anche Leucippidi: scomparvero poi dalla terra e si diceva che Giove li avesse ammessi nell'Olimpo, morendo e vivendo un giorno per ciascuno. Secondo altri Castore sarebbe figlio di Tindaro e di Leda, e Polluce, di Giove e di Leda. In Grecia si celebravano in loro onore feste chiamate Dioscurie.

11. (1) Samotracia: I misteri di Samotracia erano sacri ai Cabiri che ricevevano nel culto il nome di grandi Iddii: quattro erano le divinità dei misteri di Samotracia: Axieros, Axiokérsa, Axiokérsos, corrispondenti rispettivamente a Demeter, Persefone, Hades; più Kasmilos che per testimonianza di Dionysodoro era uguale ad Hermes. Samotracia fu centro religioso di grande importanza.

12. (2) Magna Mater, o Dea Cibele, si pensava come una divinità della natura che personificava la terra, quale produttrice universale: si diceva che dimorasse in selve e in grotte, sulla sommità delle montagne; che usasse un carro tirato da leoni e fosse accompagnata dai Coribanti suoi ministri, sorti dalla terra, dopo una pioggia dirotta, che con grida e certi loro strumenti facevano correndo uno strepido assordante; e da leoni, pantere, orsi ed altre belve; era venerata sul monte Didimo nella Galazia, sull'Ida, nella Troade sul Timolo: il culto di questa Dea fu comune a molte regioni della Grecia fra cui la Beozia, l'Attica, la Laconia, l'Arcadia, l'Elide e fiorì particolarmente in Atene. Il culto di Cibele fu importato a Roma da Pessinunte nel 204 A. C. per suggerì mento dei libri sibillini, i quali avevano promesso con ciò la cacciata di Annibale dall'Italia.

13. (1) Si sappia che l'altare del dio Conso, nel sacrificio, veniva disotterrato, perché nel tempo che correva fra un sacrificio e un altro, rimaneva nascosto ed invisibile: simbolo questo del seme che si confidava alla terra e vi rimaneva sepolto, finché il nuovo sole di primavera non ne determi' nasse il germoglio. Murcia: Venus Murcia, forse dal verbo mulcere, era una delle figurazioni dell'antica divinità italica Venere: poi si disse Murtea e con questo epiteto Venus divenne la dea del Mirto e quindi protettrice dell'amore casto di cui il mirto era simbolo. Venus Murcia aveva un tempio alle falde dell'Aventino dietro il Circo Massimo, presso il quale si celebrava in suo onore la festa della primavera e quella della vendemmia; il suo culto pare sia stato introdotto a Roma dai Latini sotto Anco Marzio.

14. (1) Serapide: divinità egiziana, passata poi nel mondo greco: Atene ebbe un tempio di Serapide ai piedi dell'Acropoli; in Beozia parecchie iscrizioni specialmente di Orcomeno e di Cheronea testimoniano di una particolare devozione tributata alle divinità egizie dagli schiavi: dall'Egitto ellenistico e dalla Grecia propria ed insulare, il culto degli dei Egiziani passò nei paesi ellenizzati dell'Oriente e dell'Occidente, da un lato in Asia Minore, dall'altro in Sicilia e nell'Italia meridionale dapprima, in Campania per via di quell'emporio assai frequentato che fu Puteoli (Pozzuoli). In Roma appare per la prima volta al tempo di Siila, ed ebbe largo sviluppo ed onore di rito.

15. (1) Stesicoro visse fra il 629 e il 553 A. C.: fu di Imera colonia dorica sulle coste settentrionali della Sicilia: si chiamava veramente Tisia, ma fu denominato Stesicoro, ordinatore di cori, per l'innovazioni che arrecò nella lirica corale, come l'aggiunta alla strofe e all'antistrofe, dell'epodo. Introdusse per primo nella lirica un elemento epico narrativo e i titoli dei suoi cori, come Scilla, Cicno, Cerbero, Elena, Oreste, Erifile etc. accennano appunto ai miti che egli veniva liricamente svolgendo, al modo stesso che usò più tardi Pindaro in molte odi.

16. (1) Erittonio, figlio di Cardano, fu padre di Troo, da cui discese la Troiana gente: ma qui si ricorda altra tradizione: si racconta che una volta Efesto cercasse di far violenza ad Atena e che in seguito al diniego di lei, dalla terra nascesse Erittonio, che Atena affidò alla cura delle tre figlie di Cecrope, il mitico fondatore di Atene: esse si chiamavano Erse, Fandroso, Agraulo.

17. (1) Furono i ludi scenici introdotti per la prima volta in Roma nel 390 A. C. per placare gli Dei, durante una pestilenza.

18. (1) Roma non ebbe il primo teatro stabile in muratura che l'anno 55 A. C.: fu questo il teatro di Pompeo: la cavea conteneva quaranta mila sedili: le gradinate erario sostenute da costruzioni a volta disposte a guisa di raggi: era divisa in due piani da un diazoma, o praecinctio : la scena era riccamente ornata con grandi colonne e aveva due grandi nicchie ai lati verso la cavea: l'edificio della scena nella facciata esteriore aveva un vasto atrio, sostenuto da colonne ove in caso d'intemperie improvvise potevano eventualmente riparare gli spettatori: di questo teatro non restano che traccie.

19. (1) Agonali, feste e sacrifici che si celebravano a Roma molte volte all'anno non si sa con sicurezza in onore di quali divinità.

20. (1) Spettacoli di combattimenti fra gladiatori: erano una delle tante varietà di gare e di lotte: vi erano anche combattimenti di fiere (venationes) : dello stesso genere erano i ludi Taurii, istituiti da Tarquinio il Superbo per gli dei infernali in occasione di una pestilenza : era una festa di espiazione, tra l'altre cose, con corse di carri nel Circo Flaminio.

21. (1) S. Giovanni Ep. I cap. 2. 16: Quoniam omne quod est in Mundo, concupiscentia carnis est; et concupiscentia oculorum et superbia vitae, quae non est ex Patre.

22. (1) Da Atella, trasse origine una delle forme primitive di drammatica popolare: la materia buffonesca prendeva origine dalla vita politica, da quella letteraria e dalle credenze religiose: ma traeva i suoi soggetti anche dal mondo eroico e mitologico: vi erano tipi possiamo dir fissi, come quello del vecchio spilorcio, pappus; il ghiottone sciocco, maccus; il chiaccherone, bucco; il gobbo imbroglione, dossenus : i mimi e i pantomimi furono forme di drammatica popolare piuttosto libera e scomposta. Furono rinomati scrittori di mimi Decimo Labeno e P. Publilio Syro: pantomimo fu in genere l'arte di rappresentare con la danza, coi gesti e con le figure un'intera azione drammatica: salì questa arte a grande altezza ai tempi di Augusto: pantomimi famosi furono Badilo e Pilade.

23. (1) Il passo (cap. XXI. fine) è d'interpetrazione difficilissima per non dir disperata; la traduzione è del tutto libera ed ho così cercato di cavare un senso per quanto assai forzato: probabilmente il testo in questo punto è mancante:

« .... et qui insigniori cuique homicidae leonem poscit, idem gladiatori atroci petat rudem et pileum; illum vero confectum etiam oris spectaculo repetat, libentius recognoscens de proximo, quem voluit occidere de longinquo: tanto durior si non voluit ».

Così traduce Selvaggia Borghini: « e quelli che per pena di un famoso uccisore chiede che sia esposto a un leone, il medesimo non domandi che siano dati ad un gladiatore crudele il bastone e il berretto per premî, rimirando gli atti di chi resta ivi spirante: quasi contemplando più volentieri da vicino chi da lontano bramò di vedere uccidere; tanto più crudele però, se poc'anzi non lo voleva morto ».

Quale mai senso se ne può trarre?

24. (1) Fu sommo poeta d'Israele, nato a Tesbe, si oppose con tutte le sue forze al culto Fenicio di Baal. Perseguitato da Acabbo e da Gezabele, sua moglie, riparò presso il torrente Cherit dove fu alimentato dai corvi: cacciato si ritirò a Zerefath, presso una vedova di cui resuscitò un figlio: dopo due anni riapparve dinanzi ad Acabbo e vinse la famosa gara coi profeti di Baal, ma per fuggire di nuovo le persecuzioni, riparò nel deserto a sud di Canaam: si scagliò contro la condotta di Achazia, successore di Acabbo, perché aveva consultato l'oracolo di Baal Zebub: fu trasportato in cielo da un carro di fuoco.

25. (2) Gli attori scenici privati della loro virilità avevano la faccia sbarbata, come Saturno che era nello stesso caso, Iside per essere una donna e Bacco per la sua perpetua giovinezza.

26. (3) Si legge in Luca VI. 29: Cui te percutit in maxillam, praebe et alteram.

27. (4) Luca XII 25 : Quis potest adiicere ad staturam suam, cubitum unum?

28. (1) Deuteronomio XII. 5: Non induetur mulier veste virili, nec vir utetur veste feminea: abominabilis enim apud Deum est, qui facit haec.

29. (1) Amen: parola pronunziata dai cristiani a gloria del Signore: ebr. così sia: la versione greca dei settanta traduce ge/noito: S. Girolamo fiat: in tal senso la voce ricorre sovente nella liturgia.

30. (2) Esclamazione usata dai Gentili per pregar lunga vita a chi darà i giochi; in latino in aevum.

31. (1) S. Matteo VI. 24: Niuno può servire a due signori perciocché o ne odierà l'uno e amerà l'altro, ovvero s'atterrà all'uno e sprezzerà l'altro...

32. (2) Ep. ai Corinti VI. 14: Non v'accoppiate cogli infedeli; perciocché che partecipazione v'è egli tra la giustizia e l'iniquità? E che comunione v'è egli della luce con le tenebre?

33. (1) S. Giovanni XVI. 20: In verità, io vi dico, che voi piangerete e farete cordoglio e il mondo si rallegrerà e voi sarete contristati; ma la vostra tristizia sarà mutata in letizia.

34. (2) Epistola ai Filippesi: cap. I, 21-23: Perciocché a me il vivere è Cristo e il morire guadagno; ora io non so se il vivere in carne mi è vantaggio, né ciò che io debbo eleggere, perciocché io son distretto dai due lati; avendo il desiderio di partire di questo albergo e di essere con Cristo; il che mi sarebbe di gran lunga migliore....


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Tradotti da Gino Mazzoni, 1934.  Transcribed by Roger Pearse, 2002.


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